Esteri

“Yes, she can”- I dem, sognatori senza speranza

di Martina Melli -


I democratici stanno bene, hanno ritrovato il brio, la voglia di fare. Si sono svegliati da un brutto sogno in cui alla guida del partito c’era un nonnino narcolettico con una seria idiosincrasia per nomi cose e città e aplomb politico pari a zero. Ora è tutto a posto, è tornato il sole, il domani pullula di possibilità. Chi non se la sentiva di votare per Donald Trump può finalmente dormire sonni tranquilli. Questo perché, a una manciata di settimane dalle elezioni 2024, la matassa dem è stata dipanata nel migliore e più organico dei modi: la vicepresidente in carica, una donna, di origini indoafricane, con la pelle scura e i capelli crespi, ha preso in mano la situazione, o meglio, l’occhio di bue l’ha illuminata per cause di forza maggiore.
E adesso, così come evidenziato dai potentissimi e coordinatissimi Obama: Yes, she can, “America, la speranza sta tornando, è l’alba di una nuova era”. La folla della convention di Chicago in delirio: esultanze, brividi, sogni che si avverano, “è arrivato il cambiamento” “è di nuovo il 2008, finalmente! Vi ricordate quanto era bello?!”.
Ma come?! Sono giorni che portate il nonnino in processione, lo ringraziate per tutto il lavoro di questi anni, l’ardore e la capacità con cui ha difeso la democrazia dai dittatori?!
E poi, questo vento del nord, la portatrice dell’uguaglianza sociale e civile, salvatrice della patria, non è in giro già da un po’?! Da tre anni e mezzo è membro di Gabinetto e si è “limitata” a seguire le direttive di Sleepy Joe, senza esporsi particolarmente o mostrare davvero ciò in cui crede.
I dem prima dell’endorsement a Kamala erano disperati: “Dove sbattiamo la testa?!”, pensavano la mattina, sbuffando e spalmando un grasso strato di burro d’arachidi – rigorosamente crunchy – sul pan bauletto ai trigliceridi.
Adesso le cose andranno finalmente per il verso giusto. Lo ha detto Barack: “Kamala (a differenza di quel mitomane) viene dal ceto medio, conosce l’urgenza della spesa, dell’affitto, delle medicine…ha sempre lottato per chi ha bisogno di una voce”.
Lo ha ripetuto Michelle: “La mia ragazza…è più che pronta a diventare presidente. È una delle persone più qualificate ed esperte che hanno corso per la presidenza ed è quella che ha più dignità”.
C’ha messo la faccia pure Hillary Clinton: “Insieme, abbiamo creato molte crepe nel soffitto di cristallo più alto e più duro. E stasera, stasera, siamo così vicine a sfondarlo una volta per tutte”. La ex First Lady si riferisce nello specifico ai diritti riproduttivi delle donne e al fatto che la Harris, come lei, da anni difende l’aborto e appoggia Planned Parenthood, gigante dell’interruzione di gravidanza finanziato da fondi federali e allo stesso tempo coinvolto in un presunto traffico di organi fetali.
Dunque sembra proprio che la partita presidenziale si giocherà sul campo della sanità. Se da una parte Trump è tutto preso da sicurezza e immigrazione, e il suo vice J.D. Vance porta alta la bandiera dei pro-life, dall’altra i blu hanno tante idee (ma confuse).
Durante la sua breve campagna del 2019, Harris aveva presentato il piano Medicare for all, un sistema assicurativo sanitario universale a pagamento unico che prevedeva, per le compagnie assicurative private, un ruolo di tipo integrativo.
Un Obamacare rivisto, ampliato e ambiziosissimo. A cinque anni di distanza, la neo candidata non sostiene più il Medicare for all, ma ha per lo più rimaneggiato le promesse di Biden: espandere i negoziati sui farmaci, cancellare il debito medico e imporre un tetto di 37 dollari al costo mensile dell’insulina.
Dunque niente più copertura medica a prezzo fisso per tutti. E dopo le iniziali battaglie con le multinazionali (le sue e quelle del vice Tim Walz con la Mayo Clinic l’anno scorso) non è chiaro se i due siano ancora così desiderosi di fare guerra all’industria. Una strategia che probabilmente punta a conservare tutti quegli elettori indecisi e preoccupati che una riforma così drastica possa danneggiare la propria salatissima assicurazione privata.


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