Wall Street chiude di nuovo a picco
La paura di una guerra commerciale totale tra Stati Uniti e Cina è tornata a scuotere i mercati finanziari, affondando i listini di Wall Street e riaccendendo i timori di una recessione globale. Nonostante i tentativi di rassicurazione da parte del presidente Donald Trump – che ha parlato di “costi di transizione” destinati a essere superati – gli investitori restano preoccupati per le ripercussioni che la politica dei dazi potrebbe avere sull’economia mondiale. Mentre negli Stati Uniti i mercati sono crollati, in Europa la reazione è stata più ottimista. Le piazze finanziarie del Vecchio Continente hanno chiuso in forte rialzo grazie all’annuncio, arrivato a borse europee già chiuse, di una tregua di 90 giorni sulle tariffe commerciali. Parigi ha guadagnato il 3,83%, Francoforte il 4,53%, mentre Piazza Affari ha registrato un balzo del 4,73%, il migliore tra i principali listini. A contribuire al clima di fiducia anche la decisione dell’Unione Europea di sospendere i controdazi precedentemente varati in risposta alla stretta americana. Trump, dal canto suo, ha dichiarato di voler trattare con l’Ue come un “unico blocco”, aprendo teoricamente a un dialogo più strutturato con Bruxelles. Tuttavia, l’euforia è durata poco. Dopo quella che è stata la miglior giornata per Wall Street dalla Seconda guerra mondiale, i mercati americani sono crollati di nuovo: il Nasdaq ha perso oltre il 7%, lo S&P 500 il 6% e il Dow Jones più del 5,5%. A soffrire non sono stati solo gli indici azionari: il dollaro è sceso ai minimi da ottobre 2024, e i Treasury statunitensi hanno subito un’ondata di vendite, con i rendimenti dei titoli trentennali schizzati al 4,85%. Il crollo è legato alla crescente incertezza sulla reale portata della tregua e alle dichiarazioni della Casa Bianca, che hanno chiarito come i dazi nei confronti della Cina restino molto elevati: il totale è al 145%, combinando il 125% delle tariffe reciproche e un ulteriore 20% legato alla questione del fentanyl. Pechino ha risposto colpendo l’export americano con dazi all’84% e limitando l’importazione di film dagli Stati Uniti, un attacco diretto a Hollywood e all’industria culturale americana. Trump continua a difendere la linea dura, affermando che le tariffe stanno generando “due o tre miliardi di dollari al giorno” per le casse federali e che si tratta di una battaglia “che andava combattuta 20 o 40 anni fa”. Ma le sue parole non hanno placato i mercati. Il rallentamento dell’inflazione, che avrebbe potuto rappresentare un fattore rassicurante, è passato in secondo piano. L’incertezza domina, alimentata anche dall’imprevedibilità del presidente, che potrebbe modificare la situazione con un semplice post su Truth Social. L’approccio “Paese per Paese” scelto per i futuri accordi commerciali appare inefficace a molti osservatori, proprio perché allunga i tempi e aumenta l’instabilità. L’unico spiraglio di ottimismo arriva dalla nomina del segretario al Tesoro Scott Bessent, considerato vicino a Wall Street, che sembra aver assunto un ruolo più centrale nei negoziati, ridimensionando l’influenza dei falchi Peter Navarro e Howard Lutnick. Inoltre, il via libera della Camera alla risoluzione di bilancio proposta da Trump apre la strada a un possibile taglio delle tasse, elemento che potrebbe offrire un po’ di sollievo agli investitori.
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