Editoriale

Vuoto a perdere

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


di TOMMASO CERNO

In questa ridicola lotta tra i super ricchi e i poveri cui assistiamo tutti i giorni nella realtà e in Tv, l’unico dato che emerge è il vuoto gigantesco che si è creato fra queste due categorie. In ogni epoca l’Italia è sempre stata capace di progredire perché esistevano milioni di italiani che avevano come obiettivo migliorare il proprio benessere, salire un gradino di quella società divisa per blocchi molto più omogenei di oggi, che oggi si trovano imprigionati in una condizione di impoverimento anche di fronte a una situazione familiare normale e a una situazione lavorativa normale e a una vita dal tenore normale.

E’ quindi la parola normale ad avere perso il suo antico significato. Normale un tempo era la capacità di dare al lavoro il massimo impegno, ottenerne quanto era giusto e con quel denaro costruirsi una vita anche a margine di quello che era l’impegno, la mansione. Lasciando perdere le grandi carriere, o i lavori totalizzanti, la famosa classe media sapeva che partendo da un punto A sarebbe arrivata attraverso delle tappe a un punto B che stava leggermente più in alto.

In quel percorso avrebbe potuto immaginare il futuro dei propri figli, contribuire a costruirlo, dare a sé e alla propria famiglia lo svago delle vacanze, senza che queste diventassero un incubo, peggio un debito da poi saldare con nuove ore di lavoro appena queste vacanze fossero finite. L’Italia senza classe media è un po’ come la nostra bandiera senza il bianco al centro. Non è soltanto una mutazione del divario fra ricchi e poveri, è una mutazione sociale e profonda che cambia i connotati alla penisola, le sue aspettative, le sue aspirazioni, il modo di comportarsi di milioni di noi.

Il sogno che stava alla base della spinta al lavoro, insieme a un paese che più o meno cresceva, anche nei momenti di crisi, anche quando l’inflazione reale era alta, non perdeva la prospettiva di migliorare il suo stato generale. Oggi è un paese in vendita. Lo stanno comprando i grandi capitali del mondo, accumulati togliendo denaro a chi lavorava nel sistema capitalistico tradizionale. Se oggi i salari sono bassi, tra l’altro i più bassi d’Europa, ma comunque bassi in senso assoluto è perché il danaro che il lavoro ha generato, visti i parametri modificati dell’economia mondiale, è semplicemente stato distribuito in modo diverso.

Oggi l’etica del lavoro è sostituita dall’etica del guadagno. Un guadagno che passa attraverso canali che si stanno distanziando sempre di più dall’economia reale, dalla stessa industria. Oggi il lavoro per milioni di persone è una mansione da svolgere affinché il guadagno che esso porta vada ad altri prima ancora che a chi il lavoro lo svolge. In questo quadro e con un’Unione europea che sembra vivere su un altro pianeta, che aumenta i tassi per fermare un’inflazione che non si ferma certo grazie alla Bce, la cui origine del tutto diversa da quella che era la metrica dell’economia tradizionale del 900, sulle famiglie graviterà un’ulteriore meteora incombente.

Quella di veder diminuito il potere d’acquisto anche a parità di condizioni, di vedere così annullate le poche azioni che un governo nazionale, come il debito pubblico che abbiamo noi, può mettere in campo, non da parte di un nemico che arriva da lontano come è stato il Covid, come la guerra in Ucraina, anche se tanto da lontano quella non arriva, ma dai nostri rappresentanti al vertice più alto delle nostre democrazie.

Questo senso di delusione porterà a una riflessione profonda e se per caso questa riflessione si sviluppasse nei mesi prima delle elezioni europee potrebbe portare a un cambiamento anche politico dell’assetto delle istituzioni che negli ultimi anni hanno aderito a un progetto finanziario globale, scaricando i costi sul popolo, ma senza mantenere le promesse di sviluppo che stavano alla base del rinnovato patto sociale.


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