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Vivisezione, l’80% degli italiani è contrario. Stanziati 3,2 milioni per i metodi sostitutivi

di Ivano Tolettini -


L’utilizzo degli animali a scopo medico-scientifico rimane al centro del dibattito. Anche politico, vista la costituzione dell’Intergruppo parlamentare presieduto da Michela Vittoria Brambilla per battersi a favore di chi non ha voce per tutelare le proprie ragioni. Tenuto conto, poi, che quasi l’80% degli italiani è contrario alla sperimentazione animale, o vivisezione che dir si voglia, parola che spesso viene messa tra parentesi perché alla gente provoca disagio o addirittura paura. Del resto, senza la sperimentazione animale la ricerca in campo medico sarebbe per davvero radicalmente menomata, come sostiene la maggior parte dei ricercatori? Quest’ultimi a questo interrogativo ripetono che se non si sperimentasse sugli animali bisognerebbe farlo sugli esseri umani, di qui la necessità di utilizzare gli animali come cavie. “Ma questo – analizza la biologa Michela Kuan, responsabile del settore vivisezione della Lav – succede già. Del resto, nel mondo le leggi impongono il passaggio sull’uomo dopo i test sugli animali, prova inconfutabile che non ci si può fidare dei dati ottenuti sugli animali perché, se davvero fossero predittivi, si passerebbe direttamente dal modello animale alla commercializzazione dei farmaci e non attraverso la validazione umana”.

FINANZIAMENTO

“Grazie alle pressioni della Lega anti vivisezione – si legge in un comunicato dell’altro giorno – il ministero della Salute ha stanziato 3,2 milioni di euro a sostegno dei metodi sostitutivi della ricerca con animali per il biennio 2021 e 2022, dunque 1,6 milioni all’anno, in origine erano previsti anche per il 2020 e sono andati persino persi per un ritardo dello stesso ministero”. Per chi si occupa di vivisezione in Italia, la necessità della sperimentazione animale è uno dei cosiddetti miti da sfatare, sebbene i ricercatori ripetano che “chi lavora per la ricerca impiega la propria esistenza nello studio di cure di malattie gravi come la Sla, l’Alzheimer e migliaia di malattie rare, con grande passione e dedizione sacrificando a volte gli affetti più cari”.

SISTEMA DA RIVEDERE

Tuttavia, come ha fatto osservare sempre la biologa Kuan, “la vivisezione per i farmaci non salva l’uomo”. La legge obbliga al passaggio sull’animale, come osservano gli animalisti, ma “meno del 5 % dei farmaci testati sugli animali superano l’esame e di questi solo l’1 per cento arriva al commercio. “Non si capisce – ha più volte risposto ai cronisti Kuan – perché, se non per motivi economici, ci si affidi a un sistema fallimentare: molte molecole testate sull’animale non servono all’uomo. E chissà quante ne vengono scartate, perché gli animali muoiono, mentre sarebbero utili all’uomo”. Nel 2006 Mike Leavit della “US Secretary of Health and Human Services” affermò che il 90% delle nuove molecole che passano ai test clinici fallisce, e questo è dovuto alla inaffidabilità dei test condotti sugli animali. Da allora la percentuale si è modificata e “al momento attuale – dichiarò Kun tempo fa – vi sono molte importanti scoperte mediche che non vengono accettate perché non possono essere riscontrate da test sugli animali, benché “gli animali sono l’unico modello complesso che possiamo usare per la sperimentazione a beneficio dell’uomo, senza particolari rischi”.

IL NUMERO

E a chi osserva che la vivisezione è necessaria per salvare vite umane, la biologa Kun ricordava in passato che “gli animali sottoposti al fumo delle sigarette per 24 ore al giorno non si ammalano di tumore ai polmoni, e neanche l’amianto ha provocato loro danni: non è stato così per l’uomo. Poi l’aspirina: per alcuni malati è un salvavita, per gli animali è tossica”. Per questo le associazioni animaliste affermano che se è vero che “una coltura cellulare non può sostituire la complessità di un organismo” è altrettanto vero che “se l’organismo è diverso il dato che si ottiene è inutile, perché cani, conigli, topi, pesci etc sono biologicamente diversi da noi e nessun ricercatore potrà mai affermare di sapere perfettamente che cosa succede durante l’esperimento”. Tra l’altro, non va dimenticato che ogni anno in Italia sono all’incirca 700 mila gli animali usati in laboratorio, mentre nell’intera Unione Europea si parla di quasi 12 milioni per testare farmaci e prodotti chimici di varia natura. Le norme comunitarie tutelano il benessere degli animali, tanto da avere istituito un organismo che se ne occupa – il cui acronimo è Opba ed è composto dal responsabile del benessere e della cura degli animali -, ma spesso difetta di trasparenza. “L’obiettivo è di privilegiare metodi alternativi alla vivisezione – conclude la dott. Kuan – ma com’è possibile se non c’è nessuno con una formazione specifica? L’utilizzo degli animali nella ricerca è un escamotage per superare problemi legali”.

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