VISTO DA – Date a Hollywood Qui non è Hollywood
RECENSIONE DI Qui non è Hollywood di Pippo Mezzapesa – Se un merito hanno le fiction true crime è quello di provare a restituire un volto e un passato alle vittime, per quanto comunque parziale e attraverso il racconto di terzi. In Qui non è Hollywood il regista Pippo Mezzapesa ricostruisce puntualmente la verità processuale sull’omicidio di Sarah Scazzi, mostrandosi inoltre impietoso nel rievocare quel circo mediatico che dal 26 agosto 2010 ha trovato in Avetrana il suo centro involontario.
A dettare i tempi di quello che il digital journalist Francesco Oggiano ha efficacemente definito il primo reality-crime della storia d’Italia (i cui ripetuti colpi di scena si consumano, prima che nelle aule di un Tribunale, a favore di telecamera ed in nome non della verità ma dello share) è – almeno sulle prime – Sabrina Misseri: «Di lei, all’epoca del giallo, mi colpì che fosse quella che si esponeva di più», ha detto in più di una occasione Giulia Perulli, la cui interpretazione immersiva fa il paio con una Vanessa Scalera praticamente irriconoscibile nei panni di Cosima Serrano.
In quei 40 giorni che vanno dalla sparizione di Sarah al ritrovamento del suo cadavere nelle campagne di Avetrana, Sabrina è quasi una star (lei che ha sempre sofferto il non essere vista, il costantemente considerarsi meno della cugina): fa esercizi di dizione per parlare meglio davanti ai giornalisti, si rifà il guardaroba per non essere costretta a indossare sempre le stesse cose quando appare in televisione, abbraccia una fan che la raggiunge di nascosto a casa.
Sabrina si preoccupa, non per le sorti della cugina («Sembra che è morta una mosca», dirà Cosima Serrano, la madre di Sarah Scazzi, stordita suo malgrado da quella giostra degli orrori che le comunicherà in diretta il ritrovamento del cadavere della figlia). Sabrina si preoccupa che l’interrogatorio di suo padre Michele finisca in tempo per un collegamento in diretta; chiede i dati di ascolto ai giornalisti prima di decidere a chi concedere un’intervista. Il cortocircuito tra giustizia mediatica e giustizia processuale tocca qui il suo punto più basso.
Quel pozzo nero aperto con il caso di Vermicino, trent’anni dopo si è rivelato ancora più profondo, tra turisti dell’orrore che trascorrono le loro domeniche fuoriporta nei luoghi che hanno scandito gli ultimi istanti di vita di Sarah Scazzi e gente comune che ha cominciato a frequentare come mai prima i Tribunali «per assistere all’ultima puntata» di uno show che tale non è. Qui non è Hollywood, la cinepresa di Mezzapesa è una lama affondata nella psiche dei personaggi, tutti al centro di conflitti a cui la morte di Sarah sembra aver fornito solo un’occasione per deflagrare, ha fatto parlare di sé ben prima del suo rilascio: il Sindaco di Avetrana ha portato in Tribunale la produzione Groenlandia ottenendo il posticipo della serie e l’eliminazione del riferimento alla sua cittadina nel titolo. Cosa che non cambia i fatti; il delitto Scazzi è avvenuto ad Avetrana, in un clima da gran bazar della notizia, in cui chiunque era in grado di venderti uno scoop.
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