Vinitaly 2025: tra ottimismo e incubo dazi Usa
L’aria frizzante del Vinitaly 2025, inaugurato sabato scorso nei padiglioni di Veronafiere, è palpabile. I numeri testimoniano l’eccellenza enologica italiana e la vivacità di un settore che, nonostante le sfide globali, continua a investire in qualità e sostenibilità. Oltre quattromila espositori, 32mila buyer e 97mila presenze complessive: stakeholder e appassionati da ogni angolo del globo anche quest’anno si sono dati appuntamento per celebrare l’eccellenza del vino e dei distillati italiani, scoprire nuove annate e siglare importanti accordi commerciali. Con un’incidenza degli operatori esteri che sale al 33% del totale, fra i quali la presenza degli americani che addirittura cresce del 5 per cento. Nonostante un’ombra cupa si sia allungata sui brindisi. Fra rossi corposi del Piemonte, bianchi aromatici del Friuli, passando per i profumi intensi della Toscana e le bollicine eleganti del Veneto, la consueta euforia è stemperata da una palpabile ansia: l’impatto dei nuovi dazi al 20% imposti da Trump. L’impatto dei nuovi dazi al 20% è un macigno che rischia di compromettere un export vitale per l’economia nazionale. Gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato di sbocco per il vino italiano, con esportazioni nel 2024 pari a circa due miliardi di euro, ovvero quasi un quarto dell’intero export vinicolo nazionale. Le stime delle associazioni di categoria sono tutt’altro che rassicuranti. Coldiretti parla di potenziali perdite fino a 390 milioni di euro annui mentre per UIV (Unione Italiana Vini) i numeri simili attestano su oltre 323 milioni di euro l’anno, che si tradurrebbe in circa 54 milioni di bottiglie che rischiano di non raggiungere più le tavole Usa. O quantomeno di raggiungerne un numero minore, anche perché i dazi sono un’imposizione del governo Usa ma non è detto che questa venga poi recepita dai consumatori americani, che non sono sudditi che eseguono. In ogni caso le cantine, già provate da anni difficili tra pandemia, rincari energetici e inflazione, vedono in questa nuova barriera commerciale un’ulteriore minaccia alla loro competitività. Non a caso, al centro del dibattito nel corso dei quattro giorni ci sono state proprio le strategie di risposta all’inasprimento dei rapporti commerciali con Washington. Secondo un’indagine Censis presentata durante la fiera, il 50% delle cantine italiane sta valutando la diversificazione dei mercati per ridurre la dipendenza dagli Usa. Tuttavia la ricollocazione, seppur praticabile e praticata, non è semplice: nuovi mercati impongono nuove sfide logistiche e promozionali, le associazioni di categoria chiedono interventi anche a livello Ue per attivare fondi di sostegno e campagne promozionali nei mercati alternativi, ma ciò non esclude che la priorità in questo momento sia un’azione diplomatica urgente per scongiurare o quantomeno sospendere l’applicazione dei dazi. Un primo assist è arrivato dall’esclusione del whisky Usa dai possibili contro dazi Ue e dal confronto, primo di un ciclo, che il governo ha tenuto a Palazzo Chigi con le categorie produttive due giorni fa. La premier Meloni e i ministri competenti hanno illustrato le proposte allo studio per sostenere le filiere produttive che potrebbero essere maggiormente danneggiate dall’imposizione dei dazi, anche in vista dell’incontro della premier con Trump a Washington il 17 aprile.
Torna alle notizie in home