Politica

Via della Seta, Craxi: “Biden non ci ha imposto nulla. Alleati e non subalterni”

di Edoardo Sirignano -

STEFANIA CRAXI - SENATRICE


di EDOARDO SIRIGNANO

“Biden non ci ha imposto nulla. Siamo alleati, non subalterni”. A dirlo il presidente della commissione Affari Esteri e Difesa a Palazzo Madama Stefania Craxi.

Quanto è importante la visita negli Stati Uniti della premier Meloni?

È più che mai fondamentale rinsaldare i rapporti con il nostro principale alleato. Sviluppare con gli Stati Uniti una partnership “totale” serve a entrambi. A Washington, nonostante le tante fumisterie di certa stampa nostrana, sanno bene che siamo tornati ad essere un partner serio e affidabile, con una chiara visione del nostro ruolo e dei nostri interessi. L’attenzione mediatica con cui il nostro Presidente del Consiglio viene accolta è la riprova dell’importanza e della centralità che abbiamo riacquisito. Dovrebbero gioire tutti, eppure, pur di dileggiare il governo preferiscono fare un danno al Paese.

È vero che Biden ci impone di lasciare la “Via della Seta”?

Un’altra falsità, una delle tante. Nessuno ci impone nulla. Siamo alleati leali, mai subalterni. E poi, mi sembra abbastanza normale che il tema sia oggetto di discussione, specie dopo le sbandate degli scorsi anni. L’Italia aveva pericolosamente spostato il suo baricentro geopolitico su assi innaturali rispetto alla nostra storia, ai nostri principi e, aggiungo, contrariamente a quanto taluni affermano, contrari ai nostri interessi, visto che in questi anni si è assistito anche ad un rilevante aumento del deficit commerciale con la Cina. È un fatto, non un’opinione. Nessuno mette in discussione che con Pechino si possano sviluppare formule di cooperazione economica, ma la natura primaria del Memorandum era e resta squisitamente politica.

Detto ciò, l’Italia sarà protagonista, a fianco degli USA, nello scenario della guerra?

L’Italia sarà protagonista di pace, di una pace giusta e rispettosa. In primo luogo, del diritto senza il rispetto del quale saremmo nel Far West. Lo saremo a fianco degli Stati Uniti e dei nostri partner comunitari, all’interno di una Comunità internazionale che deve rinnovare nel profondo la sua governance e le sue istituzioni. È questo un tema a me caro che stiamo ponendo in ogni sede.

Qualcuno accusa il governo di essere troppo atlantista. È davvero così?

È un’accusa ridicola, figlia un po’ dell’ideologia e un po’ della propaganda. Da una parte serpeggia nel Paese un certo antiamericanismo e, dall’altra, vengono create ad arte mistificazioni. A farlo sono gli stessi che, solo un anno fa, alla vigilia del voto politico, dichiaravano che in caso di vittoria del centrodestra era a serio rischio la collocazione internazionale del Paese. La verità e che in nove mesi abbiamo riportato l’Italia al centro della scena.

Quali sono i vantaggi nel mantenere questa posizione?

Dobbiamo essere il partner privilegiato degli Stati Uniti all’interno dell’Ue, specie dopo l’uscita del Regno Unito e, al contempo, dobbiamo svolgere un ruolo guida per quanto concerne la messa a terra delle politiche di sviluppo e di sicurezza dell’Alleanza atlantica per il fronte Sud. Serve a tutti un Paese con una forte proiezione e una visione mediterranea, una realtà capace di svolgere in modo attivo una funzione nell’area del Mediterraneo allargato che, nella mia visione, comprende anche l’Africa che chiamo “Mediterraneo profondo”. I vantaggi sono evidenti: siamo un Paese che, per una pluralità di ragioni, ha bisogno come l’aria di vivere intense relazioni internazionali e possiamo avere un ruolo sullo scacchiere mondiale solo se giochiamo un ruolo in questo spazio, non estraneo ai conflitti globali.

Per quanto riguarda la questione migranti, come possono aiutarci gli Usa a risolvere l’emergenza?

Il tema si affronta con politiche di sviluppo e, queste, hanno bisogno di risorse ingenti che solo un’attenzione globale al problema può catalizzare. Agli Stati Uniti non possiamo chiedere un maggior impegno diretto nel Mare nostrum, ma dobbiamo e possiamo chiedergli di fidarsi e di affidarsi a noi, di sostenerci nelle sedi multilaterali e aiutarci ad imporre il tema al centro dell’agenda internazionale. Non sfugga che siamo già riusciti a catalizzare, dopo anni, l’attenzione dell’Europa.

Nel mondo dove avanzano i Brics, non sarebbe meglio guardare oltre America?

Noi siamo Occidente. Non è una scelta politica, né economica. È un dato connaturato ai nostri valori, alla nostra cultura. E poi i Brics sono meno uniti di ciò che appaiono. Accomunati da un nemico comune, l’Alleanza atlantica, specie nella sua versione globale, sono divisi su tutto il resto. Vogliono imporre un modello alternativo, ma non si capisce quale. Parlano di multipolarismo, che è un dato di fatto nel mondo di oggi, ma alcuni di loro tentano di bipolarizzare lo scontro. Ciò che dobbiamo evitare, però, è che si rafforzi un blocco di Paesi non allineati.


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