Vesuvio e Campi Flegrei, la terra trema ancora: a giugno 880 terremoti. E ora Napoli ha paura, ma Manfredi pubblica il bando per l’esodo solo ora
Una preoccupazione datata nell’antichità: fin dai secoli della sua nascita, 30/40mila anni fa, la zona nel Golfo di Pozzuoli a ovest di Napoli e del suo più ben noto Golfo divenuto una delle cartoline turistiche per eccellenza del capoluogo campano note in tutto il mondo, è chiamata Campi Flegrei per connotare la natura “incendiaria” dei luoghi, caratterizzata da un’intensa attività vulcanica. Una caldera quiescente, i cui confini sono le colline di Posillipo e dei Camaldoli. Un popolo intero, quello largamente definito napoletano oltre i limiti della città, che ha da sempre improntato la convivenza con il più noto Vesuvio e con i Campi Flegrei a un perenne fatalismo. Nel corso dei decenni corroborato da una urbanizzazione che dire selvaggia significa definire troppo benevolmente.
Nei Campi Flegrei, poi, il bradisismo noto fin dai secoli avanti Cristo e registrato per i suoi movimenti di innalzamento e di discesa del suolo, dagli anni ’70 del secolo scorso ha vissuto fasi decise: negli ’80 le colonne del Tempio di Serapide di Pozzuoli erano sommerse dal mare, poi hanno superato il suo livello.
Un po’ di storia spicciola per arrivare ai giorni nostri: 880 “terremoti” nello scorso mese di giugno nei Campi Flegrei, 4.488 in 12 mesi. Scosse che nemmeno finiscono più sui media locali, che altrimenti dovrebbero votarsi a diventare bollettini quotidiani dei vulcanologi. E d’improvviso – perché la parola “prevenzione” non si è mai ben sposata, in Campania e in Italia, con il fatalismo nazionale – un incontro pubblico con amministratori ed esperti, nella cornice di un dibattito che non può ovviamente da oggi restare solo accademico o anche qui come su altri temi ambientali ingessato dalla sindrome Nimto (Not in my terms of office, Non durante il mio mandato elettorale, ndr).
Ne è emerso che nei Campi Flegrei la possibilità di un’eruzione a lungo termine è pari all’11%, un’eruzione esplosiva di limitate dimensioni al 60%, di medie al 25% e di grandi al 4%. Imprevedibile, come molti fenomeni naturali. Dal 2012, ormai 11 anni fa, l’ingresso della zona in un livello di allerta gialla. Di attenzione quindi. Un livello precedente a quelli arancione e rosso, di preallarme e allarme.
Un livello di allerta precedente alla dichiarazione di uno stato di emergenza, che condurrebbe la popolazione a lasciare l’area, come stabilito da un piano aggiornato dal Comune di Pozzuoli e dalla Regione Campania. Un milione di persone, che andrebbe sicuramente assistito e guidato nell’allontanamento dall’area. Non le poche centinaia che, sempre per disposizione dell’autorità, ogni volta sono allontanate, per esempio, dalle aree a rischio frana dell’isola di Ischia, per poi repentinamente ogni volta ritornarci.
Un dibattito, quello ora rianimato nella zona dalla catena infinita dei “terremoti” dello scorso mese, ove compare anche il distinguo degli scienziati. Gli esperti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia fanno la differenza tra pericolosità e rischio, una cosa difficile da spiegare a quel milione di persone. La prima è legata alla probabilità temporale dei fenomeni vulcanici, il secondo connesso a pericolosità, esposizione e vulnerabilità delle zone.
Intanto, e qui ogni speranza di efficace prevenzione fatta per tempo rischia di naufragare, la consigliera regionale Maria Muscarà attacca il sindaco-scienziato Gaetano Manfredi: solo ora pubblicato dal Comune di Napoli il bando di gara per la redazione di un piano di esodo dalla zona rossa dei Campi Flegrei.
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