VENERDÌ LIBRI – Il Dragone imperatore dei predoni
di MICHELE MENGOLI
La Cina, negli ultimi trent’anni, a danno dell’Occidente, ha perpetrato la più colossale sottrazione di ricchezza nella storia dell’umanità. È questo il tema di grande attualità del mio ultimo libro dal titolo evocativo, Il furto del millennio, uscito lo scorso 26 aprile (Edizioni Piemme) e che ho scritto con Fabio Scacciavillani.
La trama sembra un mix tra un thriller e una spy story e potrebbe apparire come uno “spin-off” in grande stile della popolare serie spagnola La casa di carta. Invece, seppure ha dell’incredibile, è un approfondimento tragicamente reale; che peraltro Alberto Forchielli, tra i massimi esperti occidentali di questioni cinesi, in una recente occasione pubblica ha elogiato come il saggio più completo sull’argomento a livello internazionale.
La modalità del crimine cinese è sintetizzabile in una vera e propria “guerra ibrida”, perpetrata dai vertici dello Stato e concretizzata attraverso un piano diabolicamente trasversale: furti di proprietà intellettuale, hackeraggio, spionaggio, inadempienze alle regole del Wto, acquisizioni fraudolente e sfruttamenti di vario genere, violazioni di brevetti occidentali con joint venture create per sottrarre informazioni tecnologiche e know-how ai partner industriali. Il tutto quantificabile in migliaia di operazioni per danneggiare imprese, istituzioni, enti – anche sanitari e militari – e centri di ricerca dei Paesi Ocse. Con gli episodi più clamorosi e sorprendenti documentati nel libro: dal caso General Motors a Dejan (un ingegnere arrabbiato che costa alla propria azienda statunitense 1,5 miliardi di dollari), da TikTok a Biden Junior fino al virus di Wuhan.
La prima domanda da farsi è questa: il danno è quantificabile in soldoni? Per gli Usa sì. Con l’Fbi che li stima in 600 miliardi di dollari l’anno soltanto per gli Stati Uniti! Invece l’Europa, che si è accorta tardi “dell’associazione a delinquere di stampo cinese”, non è ancora nemmeno in grado di quantificare una somma ipotetica.
La seconda domanda è: come siamo arrivati a tutto ciò? Be’, l’Occidente ha le sue colpe. Sottovalutazione e fraintendimenti fin dai primi anni Settanta, quando Nixon e Kissinger hanno iniziato il processo di riavvicinamento con la Cina, proseguito poi dai vari successori. D’altronde gli Usa si erano illusi di poter trasformare anche la Cina in un paese amico; alla stregua di Giappone e Corea del Sud, autoritarismi che con l’economia globalizzata si sono trasformati in democrazie compiute. Pechino, al contrario, aveva un altro piano: riguadagnare il primato nello scacchiere geopolitico occupato per circa 1800 anni. E con l’accelerazione di Xi Jinping, determinatissimo a riportare l’“Impero cinese” alla leadership globale.
La terza domanda è: si può contrastare Pechino? Il primo passo da compiere per l’Occidente è rendersi conto del pericolo. Ormai è certo: non siamo in presenza di un partner corretto e affidabile, piuttosto di un rivale che rappresenta un rischio per la nostra sicurezza e nostri valori. È quindi necessario rivedere una volta per tutte le relazioni con la Cina su ogni fronte.
La trama sembra un mix tra un thriller e una spy story e potrebbe apparire come uno “spin-off” in grande stile della popolare serie spagnola La casa di carta. Invece, seppure ha dell’incredibile, è un approfondimento tragicamente reale; che peraltro Alberto Forchielli, tra i massimi esperti occidentali di questioni cinesi, in una recente occasione pubblica ha elogiato come il saggio più completo sull’argomento a livello internazionale.
La modalità del crimine cinese è sintetizzabile in una vera e propria “guerra ibrida”, perpetrata dai vertici dello Stato e concretizzata attraverso un piano diabolicamente trasversale: furti di proprietà intellettuale, hackeraggio, spionaggio, inadempienze alle regole del Wto, acquisizioni fraudolente e sfruttamenti di vario genere, violazioni di brevetti occidentali con joint venture create per sottrarre informazioni tecnologiche e know-how ai partner industriali. Il tutto quantificabile in migliaia di operazioni per danneggiare imprese, istituzioni, enti – anche sanitari e militari – e centri di ricerca dei Paesi Ocse. Con gli episodi più clamorosi e sorprendenti documentati nel libro: dal caso General Motors a Dejan (un ingegnere arrabbiato che costa alla propria azienda statunitense 1,5 miliardi di dollari), da TikTok a Biden Junior fino al virus di Wuhan.
La prima domanda da farsi è questa: il danno è quantificabile in soldoni? Per gli Usa sì. Con l’Fbi che li stima in 600 miliardi di dollari l’anno soltanto per gli Stati Uniti! Invece l’Europa, che si è accorta tardi “dell’associazione a delinquere di stampo cinese”, non è ancora nemmeno in grado di quantificare una somma ipotetica.
La seconda domanda è: come siamo arrivati a tutto ciò? Be’, l’Occidente ha le sue colpe. Sottovalutazione e fraintendimenti fin dai primi anni Settanta, quando Nixon e Kissinger hanno iniziato il processo di riavvicinamento con la Cina, proseguito poi dai vari successori. D’altronde gli Usa si erano illusi di poter trasformare anche la Cina in un paese amico; alla stregua di Giappone e Corea del Sud, autoritarismi che con l’economia globalizzata si sono trasformati in democrazie compiute. Pechino, al contrario, aveva un altro piano: riguadagnare il primato nello scacchiere geopolitico occupato per circa 1800 anni. E con l’accelerazione di Xi Jinping, determinatissimo a riportare l’“Impero cinese” alla leadership globale.
La terza domanda è: si può contrastare Pechino? Il primo passo da compiere per l’Occidente è rendersi conto del pericolo. Ormai è certo: non siamo in presenza di un partner corretto e affidabile, piuttosto di un rivale che rappresenta un rischio per la nostra sicurezza e nostri valori. È quindi necessario rivedere una volta per tutte le relazioni con la Cina su ogni fronte.
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