Attualità

Var annulla il Daspo e il ministero così paga le spese legali

di Ivano Tolettini -


Quando è lo Stato che paga le spese per un’indagine eseguita dai propri funzionari in maniera non aderente ai presupposti di legge. Non capita tutti i giorni che la revisione al “Var” davanti al Tar della Lombardia sposti il verdetto a favore dell’innocenza del tifoso, tra l’altro il figlio di un ex presidente del Vicenza Calcio, colpito da un Daspo che l’avrebbe costretto a non potere presenziare a eventi calcistici internazionali e nazionali professionistici e ad eventi dilettantistici per un anno. “Dalla visione del filmato di videosorveglianza si evince infatti – scrive il Tribunale amministrativo presieduto da Antonio Vinciguerra – che il ricorrente Daniele Masolo ha abbassato il capo, ma non si vede nelle sue mani alcun fumogeno”. Di conseguenza il collegio non solo ha annullato il provvedimento a carico del 23enne vicentino studente universitario a Milano, ma ha pure condannato il ministero degli Interni a pagare le spese legali, 2 mila euro, a favore degli avvocati Cristina Zanini (nella foto) e Gaetano Crisafi di Vicenza che hanno perorato con successo la causa del tifoso berico. “Le immagini prodotte dalla Questura di Milano – spiegano i legali Zanini e Crisafi – per sostenere che era stato il nostro assistito ad accendere il fumogeno, in realtà testimoniano il contrario, ovvero sia che in maniera non equivoca la condotta di un individuo che ha appena acceso un fumogeno non può essere ascritta al ragazzo, il quale stava facendo altro, non certo accendendo fumogeni”. È stata insomma la prova televisiva del Var, rivista in aula alla presenza oltre che dei giudici, dei legali del giovane biancorosso e dei legali del ministero degli Interni, a fugare i dubbi sul fatto che Masolo non c’entra nulla con il fumogeno rosso incriminato ed acceso nella curva dei tifosi vicentini durante la partita di serie C tra i locali della Pro Sesto e i veneti. Il provvedimento del Tar, a catena, dovrebbe presagire l’archiviazione anche del procedimento penale avviato davanti al tribunale di Milano per la presunta violazione di legge che in realtà non c’è stata. Perché le immagini della videosorveglianza specificano in maniera nitida che Masolo non aveva acceso il fumogeno. L’episodio era avvenuto il 23 dicembre 2022 allo stadio Breda di Sesto San Giovanni durante la partita vinta dagli ospiti nettamente per 4-1. L’analisi, fotogramma per fotogramma, delle immagini dei festeggiamenti dei supporter vicentini anche mediante l’uso di fumogeni, hanno spinto i magistrati amministrativi a convincersi che non c’è la prova, ogni oltre ragionevole dubbio, che il figlio dell’ex patron del Vicenza lo avesse acceso, dando ragione ai agli avvocati Zanini e Crisafi che avevano raccolto numerposo materiale, anche via web, per dimostrare che quel giorno Masolo si era comportato correttamente. Anche perché all’ingresso dello stadio, in fase di prefiltraggio, era stato sottoposto a una minuziosa ispezione che non aveva portato gli steward a rinvenirgli addosso nulla di illegale. Tanto che gli avvocati affermano che “com’è possibile che nessun fotogrammo prodotto dalla questura riprenda il tifoso con in mano un oggetto che, per quanto piccolo, difficilmente può essere completamente nascosto?” Come accade su un campo di calcio quando il Var rivedendo un’azione contestata ravvisa gli estremi per intervenire e modificare quello che era stato l’iniziale provvedimento dell’arbitro, così nel caso di Masolo scaturisce in maniera nitida la sua estraneità da un’accusa che l’ avrebbe costretto a modificare le proprie abitudini, non potendo seguire la squadra del cuore in casa e in trasferta. Se poi teniamo conto che il Daspo “finisce per incidere su libertà costituzionalmente garantite, sicché per non trasmodare in arbitrio, deve fondarsi su elementi che attestino con alta probabilità la responsabilità del destinatario del Daspo”, ne consegue che il supporter biancorosso non ha travalicato le norme e pertanto il provvedimento amministrativo è annullato. Masolo così potrà tornare alo stadio. Oltre tutto per il diritto amministrativo della prevenzione, come analizzano gli avvocati Zanini e Crisafi, centrato su fattispecie di pericolo per la sicurezza pubblica o per l’ordine pubblico, deve valere il principio del “più probabile che non”, non richiedendosi per la misura amministrativa di prevenzione la certezza ogni ragionevole dubbio che le condotte siano riconducibili a individui colpiti da Daspo, ma una dimostrazione fondata su elementi di fatto che il Var, come in questo caso, ha smentito.


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