Attualità

Unione Europea, un mare di promesse disattese

di Redazione -


Di GAETANO MASCIULLO – Negli ultimi mesi, l’Unione Europea ha fatto una lunga serie di annunci e promesse in termini di regolamentazione. Sembrava tutto pronto sulla carta, ma in realtà siamo di fronte all’ennesimo nulla di fatto. A questo punto, pare che non si tratti solo di una questione di inefficienza (cosa che – ahinoi – sembra quasi il tratto distintivo dei burocrati di Bruxelles), ma di vera e propria incapacità cronica nel far rispettare le scadenze annunciate e nel mantenere le promesse fatte. Tutto ciò, naturalmente, anche se potrebbe non avere un’eco mediatica pervasiva, come avviene per altre notizie, è causa di non pochi disagi a livello economico. Ci troviamo di fronte a un clima di incertezza generalizzata, che sta paralizzando intere aziende e tanti cittadini. Le conseguenze di queste mancate promesse sono gravi: le imprese non sanno su cosa investire, i cittadini non sanno cosa aspettarsi dal loro futuro. E chi può biasimarli?

Facciamo qualche esempio concreto. Una delle promesse più clamorose riguarda l’acquisizione delle impronte digitali dei passeggeri in arrivo nell’UE, un piano che avrebbe dovuto entrare in vigore dal prossimo 10 novembre. Eppure, per la terza volta, la data è stata procrastinata. No, non si tratta di un refuso: la terza volta. Dopo che Francia, Germania e Paesi Bassi hanno sollevato preoccupazioni, i burocrati di Bruxelles hanno pensato bene di rimandare il tutto. Ora, senza entrare nel merito della questione delle impronte digitali, la vera domanda è: cosa stavano facendo in tutto questo tempo? Le preoccupazioni non sono emerse ieri. Eppure eccoci qui, con l’ennesimo ritardo, e i viaggiatori e le compagnie aeree che si grattano la testa cercando di capire cosa succederà.

Poi c’è la famigerata legge sull’intelligenza artificiale. L’UE vuole regolamentare l’IA, e quasi tutti hanno applaudito questa decisione (stoltamente, aggiungiamo noi), finché non è arrivato il solito intoppo. Anche qui, i termini sono stati posticipati. Il risultato? Il mondo va avanti, l’innovazione continua, ma in Europa no, tutto resta fermo. Le aziende che operano in ambito IA non sanno se possono o meno sviluppare certe tecnologie in determinate direzioni, se saranno considerate illegali o meno. L’incertezza regna sovrana, e nessuno si prende la responsabilità di chiarire la situazione. Se una regolamentazione è per se stessa un grande freno allo sviluppo economico e tecnologico, figurarsi il suo ritardo!

Un altro esempio di questa cronica inefficienza europea ci è dato dalla Direttiva sulle Tasse sul Tabacco. Annunciata a dicembre 2022, non è ancora stata attuata. Sarebbe dovuta entrare in vigore mesi fa, ma anche qui siamo al gioco del rimando continuo. Il settore del tabacco aspetta, i governi nazionali pure, e chi lavora nell’industria rimane in sospeso. Non si tratta di un tema marginale, ma di un mercato che coinvolge milioni di persone, eppure anche in questo caso siamo in stallo. Intanto, Bruxelles continua a sventolare bandiere verdi e a promettere riforme fiscali “rivoluzionarie”.

Le proteste degli agricoltori europei sono ormai diventate leggendarie, con i trattori che invadono le strade e le piazze di mezza Europa. Le nuove leggi green, quelle che dovrebbero favorire lo sviluppo dell’agricoltura, sembrano voler in realtà rendere la vita impossibile ai contadini. E così, anche qui, Bruxelles ha pensato bene di fare retromarcia. Si riprenderà in mano il dossier? Forse. Quando? Chi può dirlo. Intanto, anche gli agricoltori europei rischiano di trovarsi in una sorta di limbo normativo che non permette loro di programmare investimenti a lungo termine, con il rischio di una progressiva riduzione della produzione agricola.

Questa serie di annunci mancati, rinvii e regolamentazioni sospese è ben più di un semplice problema di disorganizzazione. Sta creando un clima di incertezza devastante. Le aziende non sanno su cosa investire, le persone non sanno cosa aspettarsi dalle nuove leggi, e tutto si ferma (o quasi). In un mondo normale, quando non si hanno certezze, tanti preferiscono non rischiare. Gli investimenti dunque diminuiscono, la crescita rallenta, e il tessuto economico si indebolisce. In un momento storico in cui le tensioni geopolitiche sono sempre più gravi, con la Russia e la Cina che osservano attentamente ogni mossa dell’Europa, questi ritardi non fanno che peggiorare la situazione. Un’Europa lenta e inefficiente appare debole, incapace di reagire rapidamente alle sfide globali. E questo, ovviamente, fa piacere agli avversari storici dell’Occidente.

Eppure, paradossalmente, l’Unione Europea sembra voler risolvere ogni problema con ancora più regolamentazioni. La voglia di legiferare su ogni aspetto della vita economica e sociale è davvero soffocante: alla fine, tutto ciò che otteniamo è semplicemente il rallentamento dell’economia. Ogni nuova legge, ogni nuova direttiva, non fa che introdurre incertezze e aumentare i costi per le aziende, che non sanno come muoversi. Non sorprende che molte imprese scelgano di non investire, o peggio, di trasferirsi fuori dall’UE. Si badi bene, tuttavia, che il ritardo nelle decisioni e nelle attuazioni non l’eccezione nei sistemi burocratici, bensì la norma. Si tratta di una caratteristica intrinseca del sistema statalista. 

I grandi economisti austriaci, come Ludwig von Mises, hanno dimostrato come la burocrazia sia per sua stessa natura tendente all’inefficienza, poiché manca del meccanismo fondamentale del mercato: il calcolo economico basato sui prezzi. In un’economia di mercato, le imprese e gli individui operano sotto la pressione della concorrenza e dell’allocazione efficiente delle risorse, guidate dall’interazione tra domanda e offerta. La burocrazia, invece, agisce senza questo incentivo, poiché le sue risorse provengono forzosamente dalla tassazione e non dai risultati ottenuti. Questo disallineamento tra costi e benefici porta naturalmente a ritardi e inefficienze. In assenza di segnali di mercato, i burocrati non hanno alcuna urgenza di ottimizzare tempi e risorse, perché non subiscono le conseguenze dirette delle proprie azioni.

Cosa possiamo fare per uscire da questo circolo vizioso? Forse è ora di parlare seriamente di indipendenza economica. Non solo dai rispettivi Stati nazionali, ma soprattutto dai burocrati di Bruxelles. Il localismo, la sussidiarietà – principi cari alla vera tradizione europea, quella cristiana – sono la chiave per un futuro prospero. Lasciamo che siano le comunità locali a decidere ciò che è meglio per la propria economia. L’economia privata, quella vera, quella che si occupa della “legge della casa”, è il motore della crescita, e non dovrebbe essere soffocata da regolamentazioni imposte dall’alto.


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