Economia

Unicredit su Commerzbank ora sogna la fusione

di Giovanni Vasso -


Chi la dura la vince. Andrea Orcel, Ceo di Unicredit, è riuscito finalmente a piazzare il colpo che sognava da una vita. O, quantomeno, ha cominciato a farlo. Già, perché l’acquisizione – per un investimento pari a ben 702 milioni di euro – del 4,5% del capitale sociale di Commerzbank porta l’istituto di credito italiano a detenere il 9% dell’intera compagine sociale e a puntare, finalmente, là dove mira da qualche anno: la fusione con la banca tedesca. La pazienza è la virtù dei forti. E tanta dovrà ancora averne il Ceo di Unicredit. Già, perché le prime voci contrarissime alla fusione con gli italiani si sono già levate in casa tedesca. È bastato un lancio di Reuters che, citando fonti informate, ha sparato il titolone: Unicredit punta alla fusione con Commerzbank e ci sarebbe già stata una primissima interlocuzione sull’ipotesi di un merger tra le due banche. Non è nemmeno chissà che grande novità. Da Piazza Gae Aulenti ci avevano già provato a esplorare l’inosabile: prima nel 2017, quando la politica tedesca chiuse a ogni ipotesi di matrimonio creditizio internazionale, e poi nel 2019 quando si provò a disinnescare con una proposta rivale il tentativo di aggregazione, poi fallito, con Deutsche Bank. Adesso, però, Unicredit ha approfittato della scelta del governo Scholz di privatizzare la partecipazione statale in Commerzbank piazzando un primo colpo: 702 milioni di euro per poco più di 53 milioni di azioni pari al 4,49% dell’intero capitale sociale. Che porta la banca italiana a detenere il 9%. Come primo passo. Già, perché è stata proprio Unicredit a dirsi pronta a fornire alla Bce, come autorità di vigilanza, ogni documento e informazione per procedere ad ampliare la sua partecipazione oltre la soglia del 9,9%. Ma ai tedeschi il ritrovato protagonismo italiano non è che piaccia chissà quanto. Una nota redatta in fretta e furia dopo l’annuncio diramato urbi et orbi da Milano riferisce che il Cda “prende nota dell’annuncio e della sua acquisizione”, si picca di rivendicare in ciò “una testimonianza dei progressi compiuti” e assicura che insieme al consiglio di sorveglianza “continuerà ad agire nel migliore interesse di azionisti, stakeholder, dipendenti e clienti”. Del resto, Unicredit aveva rassicurato i tedeschi: non toccheremo l’attuale dirigenza. Che, però, rumoreggia. Eccome. Il consigliere di sorveglianza e sindacalista Stefan Wittman, rappresentante della forza lavoro di Commerzbank, dichiara alla Reuters che “faremo il possibile, pronti a tutto per impedire” una qualsiasi potenziale acquisizione da parte di Unicredit. Non è così semplice, però. Né per Orcel né tantomeno per Wittman. Il dibattito, in Germania, è polarizzato. Ci sono gli analisti filogovernativi che si sperticano in lodi per la scelta di Scholz, che applaudono ai 700 e passa milioni che rientrano dopo che lo Stato tedesco aveva deciso di salvarla, all’epoca della crisi del 2008, dopo che Commerzbank aveva fatto l’incauta scelta, col senno di poi, di acquisire la storica Dresdner Bank che già di suo aveva fin troppi problemi. Secondo Handesblatt, a perderci nell’operazione saranno i contribuenti tedeschi. I cui denari, usati per salvare l’istituto di credito di Francoforte, non rientreranno pari pari nelle casse dello Stato dal momento che la banca incassò, come aiuti dallo Stato tedesco, qualcosa come poco più di 18 miliardi di euro. Soldi che, con il valore attuale delle azioni (seppur in netta crescita del 15% grazie all’entusiasmo scatenato negli investitori dall’annuncio Unicredit), non consentirebbero di pensare a un ritorno economico. Ma c’è anche un altro aspetto che, di sicuro, non è secondario. Unicredit è uno dei gruppi bancari in maggior crescita sullo scenario tedesco. E Commerzbank ha un valore strategico per un motivo semplicissimo: è la banca delle pmi tedesche. Conta, infatti, 11 milioni di clienti, tra privati e imprese di piccole dimensioni. S’è ampliata fuori dai confini tedeschi in Polonia (dove conta 5,7 milioni di clienti) e nell’ex Cecoslovacchia. Nel 2023 ha finalmente superato un decennio di crisi e il suo fatturato s’è attestato intorno ai dieci miliardi e mezzo di euro. Poco più della metà di quello di Unicredit (20,3). Si capiscono, a questo punto, i timori interni ed esterni al board tedesco. Che si prepara, almeno in parte, a resistere. A dispetto dei mercati.


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