Economia

Unicredit-Banco Bpm, Intesa si sfila ma Messina sta con Orcel

di Giovanni Vasso -

Il Ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina incontra la stampa per commentare i risultati consolidati del primo trimestre del gruppo presentati nel pomeriggio agli analisti e agli investitori. Milano, 3 Maggio 2024. ANSA / MATTEO BAZZI


Intesa San Paolo non entrerà nella vicenda Unicredit-Banco Bpm. Ci dovrebbe entrare l’Europa o, quantomeno, il governo. La vicenda si fa ogni giorno più spinosa. L’offensiva di piazza Gae Aulenti ha spiazzato Chigi e il Mef che avevano immaginato di cogliere due piccioni con una sola fava. E cioè restituire, al gioco dei privati, il Monte dei Paschi di Siena e di farlo ponendo le basi per un terzo polo, o incomodo, sullo scenario creditizio italiano. Il ministro Giancarlo Giorgetti, presente al Senato ai lavori per il decreto fiscale, è tornato a dire che si sta valutando se applicare la golden power, lo strumento che permetterebbe allo Stato di frenare l’offerta, che più voci, dentro e fuori, Bpm ritengono ostile. Giorgetti, di fronte alle polemiche sollevate al solo evocare la golden power ha tirato in ballo i documenti Unicredit dell’Ops che citano la possibilità di questo scenario. Altro che soluzione peregrina, lascia intendere il titolare Mef. Perché il riferimento nelle carte c’è dal momento che lo impone la legge. Ed è proprio su questa che Giorgetti fa affidamento in una battaglia che si annuncia a dir poco complicata, spinosa, irta di problemi. Mentre la politica (cioè la Lega che per ragioni – anche – territoriali dal momento che la presenza di Banco Bpm è molto forte in Veneto e Lombardia è in fibrillazione) continua a denunciare il “duopolio”, Intesa fa spallucce e, anzi, promuove Unicredit. Carlo Messina, ieri, s’è apparentemente sfilato dalla polemica: “Non siamo cavalieri bianchi”. In realtà, l’ad del primo polo bancario italiano “tifa” Unicredit se non altro perché “l’operazione, industrialmente è molto simili a quello che noi facemmo con Ubi”. Per Messina, in definitiva, le cose stanno bene come stanno: “Il pallino di queste operazioni deve essere, dal punto di vista delle decisioni, nelle mani degli azionisti, dal punto di vista della sorveglianza in quelle della Bce se poi ci sono temi di sicurezza nazionale interviene il governo ma per le conoscenze che io ho mi pare difficile argomentarlo”. Il guaio è che le banche, o meglio i due poli bancari maggiori in Italia, più che lottare tra di loro fanno squadra. E che le istituzioni, di fronte alle possibilità (non solo economiche) degli istituti di credito rischiano di trovarsi sguarnite. E per questo che servirebbe uno scatto da parte dell’Europa. Che però, sulla vicenda, glissa. Anche perché il grande e ambizioso obiettivo che ha animato da anni le politiche pro-credito della Bce non hanno sortito, in pratica, gli effetti desiderati. Ossia la creazione di un polo bancario europeo. Ci sono tante banche e restano 27 legislazioni differenti. Occorrerebbe farla, una volta e per tutte, questa unione dei capitali. Ma è proprio Messina a smontare queste ricostruzioni: “L’enfasi secondo cui il punto centrale dell’Ue sia il Capital Market Union la giudico una fesseria, credo che il punto vero è l’eurobond”. E dategli torto: l’Europa è un Continente che si divide sul debito comune, come e dove potrà mai trovare la forza per imporre un’unica legislazione ai 27 mercati del credito?


Torna alle notizie in home