L’Unesco prende la via Appia, i sindaci si prendono i meriti
Dai caschi blu al bollino blu: in un mondo perfetto non ci sarebbe bisogno né dell’Onu nell’Unesco: ma la perfezione non è di questa Terra e perciò teniamoci l’iscrizione della Via Appia nel patrimonio tutelato. Una notizia che ha fatto ricordare a milioni di italiani di avere una storia molto più lunga delle lagne social su Temptation Island. E che ha rizelato, d’un colpo, istituzioni e Pro Loco d’ogne piazza et campanile. Non vedono l’ora, adesso, si lucrare col bollino blu delle Nazioni Unite e di imporre sovrapprezzi alla specialità locale. Che magari c’avrà settant’anni tipo la stracitata carbonara ma che verrà puntualmente spacciata come il piatto preferito da Giulio Cesare. E tutto per spennare quei gonzi dei turisti altospendenti che vengono qui. Salvo poi lamentarsene, magari con il Nyt, perché non hanno trovato nemmeno una goccia d’acqua in Sicilia. Sono persone anche loro, non solo bancomat.
Dopo le parole del ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano, è partita la sinfonia di sindaci, enti locali e segretarie politiche. Più o meno famosi e riconoscibili, da Roma fino a Benevento, dall’invisibile Gualtieri all’eterno Mastella. Tutti dicono la stessa cosa. Tutti a parlare d’orgoglio. Gente che solitamente se le suona di santa ragione intona all’unisono l’ode dell’orgoglio, a cui qualche ufficio stampa tanto zelante impone la maiuscola maiestatis. Orgoglio. Come se l’eredità della Via Appia, la storia che ci siamo ritrovati in sorte (e per la quale non s’ha alcun merito considerato come viene trattata, tipo lo zucchero filato del gran luna park Italia), dovessero essere riconosciuta da qualche Laico Uffizio, un’Unesco, per essere tali. E che se tutto ciò accade, succede per merito loro.
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