Attualità

Un’eredità scomoda? Ambiente, guerra e il futuro della Chiesa

di Lorenzo Fioramonti -


Quando, nel 2015, Papa Francesco pubblicò Laudato si’, non si limitò a parlare di ecologia: lanciò una denuncia radicale contro un sistema economico che devasta il pianeta e moltiplica le ingiustizie. La sua voce, chiara e profetica, univa la custodia del Creato alla difesa dei poveri, ponendo la Chiesa su un terreno scomodo per molti potenti.
“Non possiamo più pensare di essere sani in un mondo malato”, ammonì Francesco durante la pandemia, leggendo nella crisi globale un riflesso della crisi ambientale e sociale. La sua insistenza sull’“ecologia integrale” – tutto è connesso: ambiente, povertà, guerre – ha tracciato una nuova rotta per la fede cattolica. Non una fede chiusa nelle sacrestie, ma immersa nelle ferite del mondo.
E così, coerente con questa visione, Francesco non ha esitato a prendere posizione anche sulla tragedia di Gaza. Le sue parole, pronunciate a più riprese, hanno scandalizzato molti: ha parlato di “guerra tra due popoli che si odiano”, ha invocato la fine delle ostilità “senza se e senza ma”, ha abbracciato sia il dolore israeliano sia quello palestinese, senza piegarsi alla diplomazia dei blocchi.
Ancora una volta, il Papa si è mostrato scomodo. Non ha difeso interessi politici, ma la sacralità della vita umana, ovunque essa sia calpestata.
Ho avuto modo di conoscere personalmente Francesco durante un’udienza privata quanto ero Ministro. Era interessato alle mie tesi sulla “wellbeing economy”, un modello economico che supera il dogma della crescita per creare benessere umano ed ambientale. Aveva addirittura apprezzato le mie posizioni sulla laicità della scuola, proprio mentre i media mi tormentavano per aver osato mettere in discussione il crocifisso nelle aule.
Ora, mentre si profila all’orizzonte la fine del suo pontificato, si apre un interrogativo cruciale: il prossimo Papa avrà il coraggio di raccogliere questa eredità?
L’eredità di un pontefice che ha fatto dell’ambiente, della pace e della giustizia un’unica battaglia morale?
Il contesto non è favorevole. Il ritorno di Donald Trump sulla scena internazionale e l’ascesa di governi conservatori potrebbero alimentare pressioni per un pontificato più “prudente”, meno incline a sfidare i poteri globali. Anche all’interno della Curia, non mancano voci che auspicano un Papa più silenzioso su clima, guerre e diseguaglianze.
Ma il solco tracciato da Francesco è profondo. Con Laudato si’, con il Sinodo sull’Amazzonia, con Laudate Deum – e con il suo grido per Gaza – il Papa ha ricordato al mondo che l’indifferenza non è un’opzione cristiana. Che ogni devastazione – della Terra o dei popoli – è una ferita inflitta al Creatore stesso. Ed ha conquistato il cuore anche di molti non credenti come me.
Il prossimo Conclave dovrà decidere se custodire questa eredità scomoda o lasciarla svanire sotto il peso delle convenienze. Ma chiunque sarà chiamato a salire sulla cattedra di Pietro, non potrà ignorare la domanda che Francesco ha scolpito nel cuore della Chiesa e del mondo: “Che tipo di mondo vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi?”


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