Cultura & Spettacolo

Una targa al San Carlo per Paolo Isotta

di Giovanni Vasso -

presentato il libro del prof. Paolo Isotta " La virtu' dell elefante " nella foto Paolo Isotta e Anna Teodorani Fabbri (Roma - 2014-11-05, radogna) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate


Nel regno dei due sovrintendenti, c’è solo una cosa che mette d’accordo tutti: il Teatro San Carlo di Napoli ha dedicato una targa in memoria di Paolo Isotta. Storico della musica, scrittore, per lunghissimi anni critico musicale (definizione che odiò sempre) al Corriere della Sera, Isotta è stato ricordato, venerdì pomeriggio, durante una cerimonia che si è celebrata nel foyer del “re” dei teatri italiani. L’incontro, organizzato da Amedeo Laboccetta, ha richiamato nel cuore del San Carlo decine e decine di amici di Isotta. Dopo che la targa è stata scoperta, si è tenuta la presentazione dell’ultimo libro di Marcello Veneziani dedicato al filosofo napoletano Giambattista Vico.

Paolo Isotta amò così tanto il teatro San Carlo da battersi, con le unghie e con i denti, contro tutte quelle “migliorie” che lui considerò degli autentici affronti alla storia e alla bellezza di un luogo dell’anima europea. Negli ultimi anni, deluso, decise di non frequentarlo nemmeno più. Intanto, a Napoli, era arrivato Stéphane Lissner. Lo stesso che, qualche anno prima a Milano, ebbe a dichiararlo “persona sgradita” al Teatro alla Scala di Milano. Ne seguì una baruffa che si consumò sulle pagine del Corriere della Sera. O meglio, che consumò definitivamente la sua esperienza sulle pagine del quotidiano di via Solferino. E forse, per lui, fu un bene.

Abbandonata la critica musicale, Paolo Isotta si dedicò anima e corpo allo studio e alla scrittura. Non abbandonò il giornalismo. Trovò un amico in Marco Travaglio e ne ritrovò un altro in Vittorio Feltri. Ebbe a penare, come scrive lui stesso, per dare alle stampa il suo memoir, “La virtù dell’elefante”. Un saggio, stavolta, attorno all’uomo, ai suoi vizi e alle sue virtù raccontati attraverso la sua esperienza umana e professionale. Rifiutato da sei editori, uscì per i tipi di Marsilio. Decisivo, l’incontro con Cesare De Michelis. Fratello del più noto Gianni, editore illuminatissimo. Che, da quel momento in poi, diverrà l’editore di tutte le fatiche letterarie della seconda vita di Paolo Isotta. Un genio napoletano. Lontano, mille miglia, dalla retorica. Anzi, suo acerrimo nemico. La sua Napoli non è mai stata quella, per intendersi, dei Saviano e dei suoi “padri”. Dell’impegno sociale, della città da salvare o da riscattare. Isotta, che fu anche latinista, ammirato da Ovidio (a cui ha dedicato uno dei suoi libri più belli e raffinati “La dotta lira) e Orazio, aveva letto e compreso a fondo una delle tante lezioni che Edward Gibbon trasse dalla decadenza e dalla caduta dell’impero romano. Il primo segnale della decadenza è la fuga nelle glorie passate. La Napoli di Isotta è stata la Napoli nobilissima di Benedetto Croce, una grande capitale europea e cosmopolita che affascinò il mondo costringendolo a ballare la sua musica. Dalle epifanie di Iside a Rossini, dalle tammurriate a Scarlatti e Leo. E che oggi, purtroppo, non è all’altezza della sua eredità. Fatta di passione, certo. Ma anche di libertà. La stessa che, scambiata per snobismo o, peggio ancora, per arroganza, gli causò più di un’incomprensione. Del resto, la libertà è un lusso. L’unico a cui Paolo Isotta non abbia mai rinunciato.


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