Una lezione di garantismo
Ci sarà pure un giudice a Berlino. L’atteso verdetto è arrivato e Francesco Acerbi tira un sospiro di sollievo: il difensore dell’Inter è stato assolto dall’accusa di aver rivolto insulti razzisti contro Juan Jesus. Alla luce dei verbali di audizione dell’interista e del calciatore del Napoli, le registrazioni dei colloqui fra arbitro e sala var, il giudice sportivo lo ha ritenuto non colpevole. Decisione presa in base al fatto che “il contenuto discriminatorio” delle offese è stato percepito solo dal giocatore offeso, “senza dunque il supporto di alcun riscontro probatorio esterno, che sia audio, video e finanche testimoniale”. Come sottolineato da Gerardo Mastrandrea, il giudice sportivo della Lega Serie A, nella sentenza la condotta razzista deve essere sanzionata con la massima gravità ma deve essere “corrispondentemente assistita da un benché minimo corredo probatorio o quanto meno da indizi gravi, precisi e concordanti in modo da raggiungere al riguardo una ragionevole certezza”. Nell’affaire Acerbi-Jesus in sostanza manca il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto discriminatorio dell’offesa che sarebbe stata recata. Come è noto, l’episodio in questione si è verificato durante la partita Inter-Napoli. Al 13esimo minuto del secondo tempo Juan Jesus aveva richiamato l’attenzione dell’arbitro La Penna denunciando di essere stato apostrofato con un epiteto razzista e nell’occasione aveva mostrato lo stemma della lotta alla discriminazione razziale che la Lega aveva fatto indossare in quel turno di campionato. “Acerbi mi ha detto negro”, questa l’accusa del brasiliano del Napoli. I due avevano avuto un diverbio di gioco sugli sviluppi di un corner pochi istanti prima. L’arbitro aveva mostrato disponibilità per ogni decisione ma dopo un minuto e mezzo di interruzione il gioco era ripreso. A gara conclusa, Jesus aveva provato a chiudere la vicenda: “Ci siamo chiariti, Francesco mi ha chiesto scusa. Per me la vicenda finisce lì”. Poi il colpo di scena, Acerbi cambia versione: “Juan Jesus ha capito male, non ho mai detto nessuna frase razzista”. Da qui il post sui social di Juan Jesus che una volta per tutte ha chiarito: “Acerbi mi ha detto ‘vai via nero, sei solo un negro’”, salvo poi chiedere scusa e precisare ‘per me negro è un insulto come un altro’”. Dopo il verdetto di assoluzione la moglie di Acerbi ha sbottato sui social: “Ora sciacquatevi la bocca”. Per tutta risposta, Jesus ha cambiato l’immagine del profilo su Instagram: un pugno chiuso alto. Proprio come quello (passato alla storia) del movimento Black Power contro il razzismo compiuto dagli americani Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi in Messico del 1968. Ecco, questa vicenda, che di certo appassiona molti nostri lettori e gran parte degli italiani, non ha soltanto a che fare con il calcio o con il razzismo, presunto o reale che sia. Ma ci dà l’immagine plastica di come dovrebbe funzionare l’intero Paese per quanto riguarda accusatori e accusati. Fino a prova contraria (sì, lo scriviamo di proposito) in assenza di fatti accertati, di elementi reali, non basta accusare qualcuno di qualcosa per far sì che quest’ultimo sia condannato. Anche se, purtroppo, prima che si esprima il giudice quasi sempre l’opinione pubblica, in veste di giuria assolutamente illegittima, emette quasi sempre una sentenza di condanna. Perché il tema, le circostanze, il bombardamento mediatico – il caso in questione è di scuola, come si suol dire – sono tutti fattori che spingono gran parte delle persone a condannare l’accusato. Stavolta però il giudice, facendo benissimo il suo lavoro, ha azzittito tutti. Una bella lezione di garantismo.
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