Primo Piano

Un Cremlino a Roma

di Rita Cavallaro -


Ormai è evidente: il Cremlino ha la sua base in Italia per le operazioni speciali e una rete di spie alla ricerca di agenti dei servizi italiani prezzolati. Perché se il caso di Walter Biot è passato alquanto sotto traccia, come se non fosse già di per sé grave che un ufficiale della nostra Marina sia al soldo dei russi e passi segreti strategici creando un vulnus alla Nato, la vicenda di Artem Uss non poteva non creare un caso internazionale. Con gli Stati Uniti che, ovviamente, hanno bacchettato l’Italia perché, dopo ben tre avvisi scritti sulla pericolosità dell’imprenditore-spia, sono ormai sul piede di guerra per la sua esfiltrazione degna di un film holliwoodiano di 007. E hanno chiesto spiegazioni all’Italia sulle eventuali misure di sicurezza adottate a seguito dei vari avvertimenti, scoprendo tragicamente che nessuna misura di sicurezza era stata adottata. Perfino il segnale del braccialetto elettronico, il dispositivo che una volta tagliato avvisa dell’evasione, è stato ignorato, supponendo che potesse trattarsi di un suo malfunzionamento. E Giorgia Meloni, di fronte all’imbarazzante situazione che mina i rapporti con gli Usa, ha chiesto informazioni ai servizi segreti italiani, per poi dichiarare che “noi non eravamo informati a livello di intelligence dalle altre intelligence sulla natura della figura. Noi sapevamo che c’era una richiesta del Dipartimento di giustizia americano legata a una questione di frode fiscale, un’altra materia”. Peccato però che subito dopo il suo arresto, eseguito dalla Polaria a Malpensa il 17 ottobre 2022, sulla stampa nazionale e internazionale era stato delineato il calibro criminale di Uss e anche ampiamente spiegato quanto la sua figura fosse strategicamente delicata, in quanto figlio del governatore della regione russa di Krasnoyarsk, Aleksandr Uss, particolarmente vicino a Putin. Il che, nel momento in cui imperversa la guerra in Ucraina con la contrapposizione tra l’asse atlantico e la Russia, non era certo un dettaglio da poco. Senza contare che, nei giorni successivi, sono emerse perfino le attività illecite dell’arrestato, tra cui contrabbando di tecnologie militari e riciclaggio per milioni di dollari. Washington ha scoperto che Uss acquistava dagli Stati Uniti componenti elettronici destinati ad equipaggiare aerei, radar o missili per venderli a compagnie russe eludendo le sanzioni in vigore. Che Uss fosse dunque un uomo di Putin in missione speciale per operazioni strategiche, volte a influire positivamente sulla guerra di Mosca, lo avrebbe capito anche un bambino. Eppure per i servizi segreti italiani l’imprenditore russo, che per evitare il carcere aveva addirittura comprato una casa in Italia dove poter scontare i domiciliari, non era degno di interesse. La sua presenza non è stata neppure rilevata. Il che rappresenta un gravissimo buco nella sicurezza nazionale, se consideriamo il fatto che il compito di segnalare spie sul territorio è di competenza del controspionaggio italiano. A stabilirlo è proprio una legge dello Stato, la 124 del 2007, che disciplina l’attività dei servizi segreti e, all’articolo 6 comma 2, dispone che “spettano all’Aise le attività in materia di controproliferazione concernenti i materiali strategici, nonché le attività di informazione per la sicurezza che si svolgono al di fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia”. Il comma successivo indica che “è altresì compito dell’Aise individuare e contrastare al di fuori del territorio nazionale le attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali”. Ciò vuol dire che i servizi segreti italiani avrebbero dovuto sapere che Uss aveva preso un volo per l’Italia ancor prima che salisse sull’aereo e che, dopo averlo pedinato e aver certificato la sua rete di contatti e di interessi, quantomeno avrebbero dovuto bloccarlo a Malpensa, cosa che invece ha fatto la Polaria. Anche perché la stessa legge di cui sopra, all’articolo 7 comma 3, dice che “è compito dell’Aisi individuare e contrastare all’interno del territorio nazionale le attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali”. Appare evidente, allora, che né l’Aise né l’Aisi abbiano svolto il compito a servizio dello Stato. E di conseguenza neppure il direttore del Dis, Elisabetta Belloni, che, come recita l’articolo 4 comma 3 lettera A, “coordina l’intera attività di informazione per la sicurezza, verificando altresì i risultati delle attività svolte dall’Aise e dall’Aisi, ferma restando la competenza dei predetti servizi relativamente alla attività di ricerca informativa e di collaborazione con i servizi di sicurezza degli Stati esteri”. Insomma, al Dis non è mai arrivata alcuna segnalazione dalle spie italiane. Eppure, su Uss era stato scritto tutto in rete già dall’arresto e, per ben 7 mesi, è stato di pubblico dominio il calibro del personaggio. Nonostante i mancati avvisi interni, resta il fatto che l’attività di controspionaggio prevede l’iniziativa del singolo servizio, per cui la Belloni avrebbe potuto in autonomia chiedere report sul soggetto. Tanto più che, nero su bianco, erano arrivate ben tre lettere dal Dipartimento di Giustizia americano ad istituzioni italiane circa il pericolo di fuga, elevato al massimo livello dopo la richiesta di estradizione degli Usa. Appare alquanto imbarazzante la circostanza che i servizi segreti italiani non fossero stati informati, sia per l’esistenza degli alert americani, sia perché questi non devono essere informati ma sono loro a dover informare. Soprattutto il governo. Che ora si trova tra le mani la patata bollente e che da questo cortocircuito ha già subito un enorme danno politico internazionale. Il ministro Carlo Nordio ha inviato gli ispettori alla procura di Milano, che dopo 40 giorni di carcere aveva spedito Uss ai domiciliari, per “accertamenti ispettivi” sui giudici milanesi, visto che il ministero aveva rassicurato Washington sul fatto che “la misura cautelare degli arresti domiciliari, che nel caso di Artem Uss è resa più sicura dalla applicazione del braccialetto elettronico, è in tutto equiparata alla misura della custodia in carcere”. Peccato che organizzare un’evasione dal penitenziario di Busto Arsizio sarebbe stato più complicato di una fuga da una villa di Basiglio, non controllata né monitorata. E pensare che proprio a Milano c’è un centro Aisi, che se non è una cellula dormiente avrebbe dovuto battere un colpo ed avvisare il presidente del Consiglio. È questo il vero giallo del caso, che denota la mancata propensione dei servizi segreti italiani ad una reale ed efficace attività di contrasto all’intelligence russa sul territorio nazionale, una realtà che si protrae ormai da anni. Non dimentichiamo che i vertici dell’intelligence sono stati in gran parte nominati da Giuseppe Conte con una forte influenza del Pd. E che gli stessi sono stati per ora confermati da questo governo. Ma non rispecchiano il filo atlantismo dell’esecutivo, perché i russi hanno agenti sotto copertura infiltrati nel nostro Paese, scelto proprio da Vladimir Putin in persona per portare a segno delle operazioni strategiche fondamentali per le sorti di Mosca. Fondamentale era l’esfiltrazione di Artem Uss. E rilevante era la vicenda di Walter Biot, il cui arresto da parte del Ros resta un’ottima operazione di polizia giudiziaria, ma anche quella segna al tempo stesso il fallimento del controspionaggio italiano, che avrebbe dovuto anticipare le mosse delle spie russe in Italia e non permettere la dazione di notizie, atti e documenti classificati all’intelligence russa da parte di Biot. La sentenza di primo grado del Tribunale militare, che ha inflitto 30 anni di carcere all’ufficiale di Marina, conferma che c’è stata la penetrazione della sicurezza italiana, e di conseguenza della Nato, da parte dell’intelligence del Cremlino. E l’operazione di esfiltrazione di Artem Uss, messa a segno dalle spie russe in Italia, rispetto alle missioni con il polonio per uccidere dissidenti di Mosca, potrebbe sembrare un gioco da ragazzi. Eppure è diventata il biglietto da visita del modus operandi del Cremlino sul nostro territorio. Rispetto a quello che hanno scritto i giornali, la pianificazione per far rientrare in patria l’uomo di Putin è stata molto più semplice. I russi hanno studiato nei minimi dettagli il progetto di evasione con il consenso e la partecipazione dello stesso Uss, anche perché sarebbe inimmaginabile pensare che una mattina degli sconosciuti si fossero presentati senza preavviso alla porta e che lui si fosse fidato a seguirli, se non avesse saputo prima chi fossero e dove lo avrebbero condotto. È elementare che da diverse settimane le persone che hanno agevolato l’evasione di Uss abbiano effettuato, direttamente o indirettamente, una serie di incontri con lo stesso trafficante di armi, al fine di organizzare i tempi e i modi dell’evasione. Uss, dunque, era a tutti gli effetti consapevole del giorno e dell’ora in cui sarebbero andati a prenderlo per riportarlo a Mosca. In tutto questo arco di tempo, nessuno si è accorto di chi entrava e usciva da quella casa. Tuttavia è proprio questa l’attività tecnica dell’intelligence, quella del pedinamento, dell’osservazione e dell’intercettazione. Una centrale di ascolto, purtroppo mai avviata, con la quale prendere due piccioni con una fava: tenere monitorato il personaggio di interesse degli Stati Uniti e individuare la rete delle spie russe che lo andavano a trovare.


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