di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
Neuralink, la start-up creata da Elon Musk nel 2016, ha recentemente annunciato di avere ricevuto l’autorizzazione dalla Food and Drug Administration (FDA) per procedere alla sperimentazione su esseri umani. L’obiettivo che l’azienda si pone sin dalla sua fondazione consiste nello sviluppo di impianti cerebrali mediante chip elettronici inseriti nel cervello e dotati di una forma di intelligenza artificiale in modo da comunicare con i computer direttamente attraverso il pensiero. Lo scopo dichiarato di questa tecnologia è di migliorare le condizioni di vita delle persone affette da gravi disabilità. Avrebbe, infatti, il potenziale per affrontare uno spettro di condizioni neurologiche, dal morbo di Parkinson e l’epilessia alle emicranie debilitanti. Potrebbe anche migliorare notevolmente il modo in cui gli utenti sono in grado di interfacciarsi e controllare le protesi, comprese quelle che sostituiscono una ridotta funzione sensoriale. A prima vista, perciò, Neuralink non sembra presentare particolari difficoltà etiche. Se il chip di Neuralink sarà in futuro capace di ridare la vista ai ciechi, restituire la mobilità a chi è paralizzato oppure combattere l’autismo, la schizofrenia o le malattie neurodegenerative, non può che essere benvenuto.
Eppure, molte delle dichiarazioni di Musk circa il futuro rappresentato dall’interfaccia cervello-macchina hanno fatto capire come gli interessi della sua azienda si rivolgano, oltre che al miglioramento funzionale di attributi fisiologici, anche all’incremento di capacità e funzioni che si collocano al di sopra dello standard attuale della specie sino a trasformarci in postumani, in esseri che si emancipano dalla lotteria genetica e iniziano a ri-costruirsi secondo le specifiche progettuali desiderate. Musk ha parlato di capacità cognitive potenziate, archiviazione e recupero della memoria, giochi, telepatia e persino di simbiosi con le macchine. Naturalmente, le possibilità che molte di queste aspirazioni si realizzino sono minime: il cervello è semplicemente troppo complesso e la nostra comprensione di come funziona troppo limitata per ottenere ciò che questi sviluppatori sognano, almeno per ora. Ma non è questo il punto. Ciò che è importante dal punto di vista della governance, dell’etica e dello sviluppo responsabile è che Neuralink sta aprendo a scenari sinora appannaggio della fantascienza. Anche se è probabile che molte delle aspettative futuristiche che stanno suscitando rimarranno sulla carta, queste tecnologie si stanno comunque inoltrando in territori nuovi e imprevedibili.
È possibile farsi un’idea dei problemi che stanno già cominciando a profilarsi sollevando alcune domande. Per esempio: a chi sarà demandata la responsabilità di garantire l’uso etico delle interfacce cervello-macchina se e quando verranno installate quali dispositivi di potenziamento anche in assenza di reali necessità mediche? In che modo queste forme di potenziamento potranno influire sulle norme e sui comportamenti sociali e dove va posto il confine tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è moralmente accettabile? Come possiamo garantire che gli utenti non diventino vittime dell’equivalente tecnologico della servitù a contratto, per cui devono pagare per disporre di continui aggiornamenti tecnologici e di sicurezza oppure subirne le conseguenze? E infine, ma la lista delle domande potrebbe continuare, come affrontare un panorama futuro in cui le app possono essere utilizzate per alterare lo stato mentale degli utenti dell’interfaccia cervello-macchina, in particolare nella eventualità che questi non dispongano del pieno controllo sul modo in cui la tecnologia ne condiziona pensieri, emozioni e comportamenti? E ciò, soprattutto, nel caso la tecnologia sia integrata con l’apprendimento automatico? È chiaro che alcune di queste domande toccano scenari ancora di là da venire. Ma servono a mettere in luce quanto sia complesso il panorama etico e di governance che ruota intorno alle interfacce cervello-macchina, se e quando la tecnologia diventerà conveniente, accessibile e focalizzata sul miglioramento delle prestazioni.
È ovviamente possibile che nessuno di questi scenari si realizzi. Resta però in sospeso il problema di chi può avere accesso alla tecnologia e chi no. Se le interfacce cervello-computer hanno davvero la capacità di migliorare sostanzialmente le sue capacità e le sue prestazioni, non si rischia di creare una società ulteriormente polarizzata? Una società, cioè, in cui i privilegiati sono in grado di ottenere posti di lavoro migliori, guadagnare di più e avere una migliore qualità della vita rispetto a coloro che sono troppo poveri o troppo “indegni” agli occhi della società per godere dei vantaggi, per ora solo presunti, di questa tecnologia? Non si tratta di un problema ozioso. Esiste già una disparità sociale intorno a chi può beneficiare delle nuove tecnologie – una disparità che acuisce il divario tra chi è socialmente privilegiato e chi è emarginato. Non si può escludere la possibilità che gli impianti neurali possano ampliare enormemente questo divario. La buona notizia è che c’è ancora tempo per mettere Neuralink in condizione di sviluppare una solida strategia per l’innovazione etica e responsabile, in modo da evitare che lo scenario distopico di una umanità potenziata evocato dai film e dai libri di fantascienza diventi realtà.