Uccise due poliziotti: assolto. Ora la parola alla Cassazione
“Quella di oggi sarà un’udienza tecnica molto complicata per le famiglie dei due poliziotti, che non hanno avuto giustizia. Auspico un atto di coraggio da parte dei giudici della Cassazione, ai quali solleciterò l’interesse per la tutela delle vittime del reato, che attualmente non trova spazio nella Costituzione. Infatti mentre i sacrosanti diritti della difesa sono giustamente garantiti, non c’è alcuna parità con le garanzie per le vittime del reato, che invece vengono tutelate da Convezioni internazionali. Credo che su questo sia necessario porre rimedio al più presto”. Parla della battaglia che porta avanti da anni l’avvocato Valter Biscotti, a poche ore dall’udienza in Cassazione, in cui assiste le famiglie dei due agenti di polizia Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, uccisi il 4 ottobre 2019 nella questura di Trieste da Alejandro Augusto Stephan Meran, un domenicano accusato del furto di uno scooter.
Meran, con il pretesto di andare in bagno, scatenò il panico: riuscì a impossessarsi della pistola d’ordinanza di Pierluigi Rotta e gli sparò tre colpi, poi fece fuoco altre quattro volte contro Matteo Demenego, intervenuto per soccorrere il collega. E continuò a esplodere proiettili contro gli altri agenti presenti in questura, nel tentativo di fuga finito a pochi passi dall’uscita del posto di polizia.
Il bilancio fu pesante: per Rotta e Demenego non ci fu nulla da fare, morirono per le lesioni letali, mentre altri sette colleghi rimasero gravemente feriti. Meran fu rinviato a giudizio per due omicidi volontari e altri sette capi d’accusa per tentato omicidio. Eppure il domenicano è stato assolto, sia in primo che in secondo grado, sulla base di due perizie psichiatriche tra loro contrastanti. La prima, disposta dal gip Massimo Tomassini in fase di indagini e affidata a un collegio di consulenti, sosteneva la seminfermità di Meran, mentre la seconda, disposta dalla Corte in fase dibattimentale e svolta da un unico perito, ha rilevato un vizio di mente totale.
Per Stefano Ferracuti, professore di Psicopatologia forense alla Sapienza di Roma, Meran “era, all’epoca dei fatti e a tutt’oggi, affetto da schizofrenia, di gravità severa, con episodi multipli” e, quando ha seminato la morte nella Questura di Trieste si trovava “in una condizione mentale caratterizzata da un delirio persecutorio, di pregiudizio e di onnipotenza, ponendosi in nesso di causalità diretto con la patologia psicotica in atto e tale da escludere totalmente la capacità di volere”. Questa seconda consulenza ha decretato la salvezza del domenicano, perché in virtù della riconosciuta incapacità di intendere e volere è stato dichiarato non imputabile e, di conseguenza, assolto. L’assassino è stato infine trasferito dal carcere di Verona in una Rems, dove dovrà restare per 30 anni, proprio in virtù della sua pericolosità sociale. Un duro colpo per le famiglie dei due poliziotti uccisi, che continuano a sostenere come Meran fosse consapevole di quello che stava facendo, visto che, oltre a portare a termine il furto dello scooter, era stato capace di architettare il piano di fuga culminato nella sottrazione della pistola di ordinanza, che gli serviva per neutralizzare per sempre i poliziotti presenti sul suo cammino. Senza contare i dubbi lasciati nell’impianto accusatorio da due perizie constatanti.
Spiega l’avvocato Valter Biscotti: “La prima consulenza psichiatrica disposta dal gip, quella che sostiene la parziale incapacità di intendere e di volere, è stata eseguita da un collegio di periti ed è durata un anno, mentre quella ordinata dalla Corte è stata effettuata da un consulente unico che ha sentito l’imputato poche volte. Non siamo soddisfatti da queste conclusioni”. Lo stesso procuratore generale di Trieste, Carlo Maria Zampi, nel ricorso avverso alla sentenza della Corte, ha puntato l’attenzione su un “evidente e insolubile contrasto” tra le due perizie psichiatriche e sostenuto che le motivazioni dell’Appello fossero carenti e contraddittorie. Ora l’ultima parola spetta agli Ermellini.
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