PRIMA PAGINA – Sabato italiano
epa11947453 United States President Donald J Trump makes a statement on jobs in the Oval Office of the White House in Washington, DC, USA, 07 March 2025. February jobs report by Bureau of Labor Statistics reported the US added 151,000 jobs. EPA/CHRIS KLEPONIS / POOL
Nell’agenda di Donald Trump sarà “davvero complicato” trovare uno spazio per Ursula von der Leyen. Bruxelles, timidamente, avanza l’idea di poter imbastire un incontro tra i due presidenti ma la Casa Bianca è infuriata, come ampiamente prevedibile, a causa della stangata Antitrust Ue da 700 milioni per Meta e Apple: “Una nuova forma di estorsione economica e non le tollereremo”, hanno fatto sapere da Washington. Secondo cui “le normative extraterritoriali che prendono di mira e danneggiano specificatamente le aziende americane, soffocano l’innovazione e consentono la censura, saranno riconosciute come barriere commerciali e una minaccia diretta a una società civile libera”. Il messaggio “forte e chiaro” di cui parlava la socialista Ribera è arrivato ma, forse, rischia di tramutarsi in un boomerang per l’Ue. Che è giunto a distanza di poche ore dall’apertura di Bruxelles: “Il motivo principale della presenza della presidente Von der Leyen sabato a Roma sono i funerali del Papa – ha detto la portavoce della commissione Paula Pinho -, non possiamo escludere che ci possano essere opportunità per dei brevi incontri bilaterali ma al momento non c’è altro che possiamo dire”. La lista dei bilaterali di Trump non è stata diffusa ma c’è la (seria) possibilità che l’Ue finisca nell’angolo a far compagnia a Zelensky, ormai inviso a The Don. Che, in vista del viaggio a Roma, si dice entusiasta: “Ho programmato molti incontri, questo dimostra che abbiamo un prodotto fantastico, si chiama Stati Uniti d’America”. Ma chissà se Trump avrà tempo per Ursula. Che non potrebbe aver preso benissimo il fatto che l’Antitrust Ue, stangando Meta e Apple, abbia “morso” la mano tesa da Washington sui dazi. Secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani sarà “difficile” organizzare “il bilaterale in questo momento perché sono tutti qua per partecipare ad una cerimonia funebre per il Papa, non so se questo è il momento giusto per fare un bilaterale con tanti temi all’ordine del giorno”. E butta la palla in tribuna: “Non può essere fatto così, in fretta e furia. Credo che serva un incontro tra Europa e Stati Uniti più approfondito, con più tempo a disposizione”. Tutto lavoro in più per Giorgia Meloni che potrebbe, invece, avere un summit dedicato, al Quirinale, insieme al presidente Usa e a Sergio Mattarella. La vera spina, per Trump, è arrivata dalla Cina. Xi Jinping ha deciso di voler dare un segnale di forza alla controparte americana. E, di fronte alle aperture giunte da Washington, ha preso tempo. La versione ufficiale di Pechino è che “non ci sono negoziati in corso” sulla vicenda dazi. Il Dragone fa la voce grossa e chiede, per il tramite del portavoce al Commercio He Yadong di “cancellare completamente tutte le misure unilaterali contro la Cina e trovare un modo di risolvere le divergenze attraverso un dialogo equo”. Trump ha promesso di non fare il “duro” con la Cina ma ha reagito alle dichiarazioni del Dragone. Ha chiesto a Boeing di far causa alla Cina, dichiarando il governo asiatico inadempiente per aver rifiutato la consegna degli aerei e ha rinfocolato la minaccia sul fentanyl che “continua a riversarsi nel nostro Paese dalla Cina, attraverso Messico e Canada, uccidendo centinaia di migliaia di persone”. È un braccio di ferro. Che, dai tavoli delle diplomazie potrebbe presto spostarsi alle aule dei tribunali. Non solo quelli internazionali. Già, perché dopo la California, altri dodici Stati hanno deciso di far causa al presidente Usa per le sue politiche doganali e sui dazi. Se si spulcia l’elenco, si scopre che dieci di questi Stati sono amministrati dai democratici: si tratta di Arizona, Colorado, Connecticut, Delaware, Illinois, Maine, Minnesota (dove è governatore Tim Waltz, designato vice nella fallimentare campagna di Kamala Harris), New Mexico e Oregon. Nevada e Vermont, invece, sono a guida repubblicana. Con la differenza che il primo ha come procuratore generale il democratico Aaron Ford mentre il secondo è governato dal repubblicano Phil Scott, aderente a quella schiera di repubblicani che, con Trump, proprio non ci va d’accordo. Piuttosto che camminare sulle uova, come sognano gli avversari, The Don, proprio sulle uova, ci vola: “I prezzi della benzina e dei prodotti alimentari sono molto scesi, proprio come io avevo detto che sarebbe successo, c’è abbondanza di uova e con il prezzo sceso dell’87%”. Non proprio una banalità dal momento che sul prezzo delle uova alle stelle ci ha costruito, e vinto, la sua terza campagna elettorale presidenziale.
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