Economia

Trump, i dazi e la balla del commercio Ue-Usa

di Lorenzo Fioramonti -


Quando l’amministrazione Trump impose i dazi sui prodotti europei nel nome della “reciprocità” commerciale, molti analisti si affrettarono a descrivere la mossa come un’azione muscolare giustificata da un presunto squilibrio nella bilancia commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. In particolare, si puntava il dito contro il surplus commerciale europeo nei confronti degli USA, letto come una forma di “sfruttamento” del mercato americano. Ma questo approccio, oltre a essere economicamente miope, ignora una parte fondamentale dell’equazione: il commercio dei servizi e quello dei cosiddetti beni intangibili, come le royalties, i brevetti e le proprietà intellettuali. Se si tiene conto anche di questi flussi, l’immagine cambia radicalmente. Le economia europee infatti vendono agli americani merci materiali tradizionali, come per esempio le automobili, i prodotti alimentari o di abbigliamento, ma “importano” moltissimi beni “dematerializzati” sia per consumo finale, sia per realizzare i prodotti che poi rivendono nei mercati statunitensi. Per citare un recente rapporto di AXA Investment Managers, uno dei principali fondi assicurativi e di investimento al mondo, “durante il giorno gli europei producono automobili per il mercato americano usando software americano per realizzarli, prima di tornarsene a casa e vedere qualche serie televisiva americana su una piattaforma di intrattenimento anch’essa americana, come Netflix, Prime, Disney+ e così via”. Gli Stati Uniti, infatti, registrano un surplus strutturale nei confronti dell’Europa proprio nel commercio di servizi ad alto valore aggiunto (finanza, consulenze, tecnologia) e nei proventi derivanti dalla proprietà intellettuale. Multinazionali americane come Google, Apple, Microsoft e Amazon incassano miliardi in Europa grazie ai diritti su software, licenze, brevetti, e marchi registrati, spesso senza pagare imposte nei paesi dove generano valore, considerando che molte di queste multinazionali hanno recentemente fatto “reshoring” delle proprie sedi fiscali, rientrando comodamente negli USA in virtù di tassazioni agevolate. Questi flussi rappresentano una forma di “esportazione invisibile” che sfugge alla narrazione semplicistica basata solo sugli scambi di merci tangibili. Non solo: questa sperequazione è tutta a vantaggio degli americani, perché con l’aumentare del reddito, i consumatori si spostano sempre più dall’uso di beni materiali a quelli “esperienziali”, premiando in termini di guadagni le aziende che sviluppano proprietà intellettuale. Se sommiamo il surplus europeo nella manifattura al surplus statunitense nei servizi e nei beni intangibili, il saldo reale tra le due economie risulta molto più equilibrato – e in certi anni perfino a favore degli Stati Uniti. Con l’espansione dell’Intelligenza Artificiale, questa sperequazione rischia di aggravarsi ulteriormente. È arrivato il momento per le economie europee di ribellarsi a questa sudditanza nei confronti degli americani e sviluppare le tecnologie del futuro qui a casa nostra, con i nostri contenuti e con la nostra innovazione.


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