Trump annuncia i dazi ma l’Italia “rischia poco”: ecco perché
Trump annuncia i dazi ma, molto probabilmente, non arriverà l’Apocalisse per l’Italia. Anzi. Nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti d’America ha spiegato, netta e trasparente, quale sarà la sua strategia sui dazi legandola alla questione fiscale. “Invece di arricchire gli stranieri, arricchiremo i nostri cittadini”. Trump ha poi lanciato l’idea di un’agenzia apposita per riscuotere il denaro proveniente dall’applicazione delle tariffe: “Inizierò immediatamente la revisione del nostro sistema commerciale per proteggere i lavoratori e le famiglie americane. Invece di tassare i nostri cittadini per arricchire altri paesi, applicheremo dazi e tasse ai paesi stranieri per arricchire i nostri cittadini”. E dunque: “A questo scopo, stiamo istituendo l’External Revenue Service per riscuotere i dazi e le entrate che arriveranno da fonti straniere”. Si tratterà, ha affermato il presidente “del nuovissimo Dipartimento per l’efficienza governativa”, che si occuperà di “ripristinare competenza ed efficacia per il nostro governo federale”. A tutta prima, sembrerebbe una mazzata giusto in fronte all’economia europea e, chiaramente, anche a quella italiana. Del resto, solo nel fine settimana, Isabel Schnabel, membro del board della Bce che s’è fatto un nome per essere tra i più irriducibili falchi della banca centrale, ha spiegato su Youtube, a un canale di consulenza finanziaria, Finanztip, che “è molto probabile” una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Forse, anche questa volta, Isabel Schnabel sbaglia. In fondo, Schnabel fa parte di chi ha contribuito a deprimere (sul serio) l’economia europea applicando una cura da cavallo a base di tassi altissimi, una scelta su base ideologica e pedissequamente ispirata alla Fed americana. Ma, questa volta, forse è il caso di non fasciarsi la testa né di seguire gli svolazzi bellicosi dei soliti falchi. Forse, piuttosto che andare alla guerra per gli altri, sarebbe il caso di valutare la nostra posizione e di non farci convincere dalle trombe di guerra né dai profeti dell’Apocalisse. Alessandra Ricci, amministratore delegato di Sace, ritiene che vada fatta un’altra lettura della situazione: “Rispetto a Francia e Germania siamo meno vulnerabili a qualsiasi politica di dazi che verrà imposta da Trump”. Ma non basta perché Sace, come ha detto Ricci alla conferenza intitolata “Il mondo nel 2025: time to deliver” tenutasi nella sede di Assolombarda a Milano, si ritiene “ottimista rispetto alle previsioni per l’export, principale motore del Pil italiano e dell’occupazione” e prevede “una crescita del 3,5% per il 2025, pari a 679 miliardi di euro”. Ciò perché “rispetto alle omologhe francesi e tedesche, le imprese medie italiane sono più produttive e il nostro export è meno concentrato in termini di prodotti. Questo diventa un fattore di intrinseca forza del tessuto produttivo italiano e ci rende meno vulnerabili” ai dazi che verranno imposti da Trump. Infine, Ricci spiega che l’impatto stimato dei dazi, almeno sull’economia italiana, è in un range tra i 4 e i 7 miliardi che, eventualmente, “si scaricherebbero sul 2026 e non sul 2025”. Ciò significa che l’Italia, e in fondo l’Europa, ha “il tempo per adeguare le nostre soluzioni e il tempo dei negoziati” e, magari, spostarsi sulle “opportunità del Mercosur” che, da solo, rappresenta “un mercato enorme, superiore ai 4-7 miliardi, e che per il 98% è coperto da piccola e media impresa”.
C’è chi, però, si spinge ancora oltre e ritiene che l’insediamento di Trump e l’inizio della sua seconda presidenza possa rappresentare un’ottima occasione per l’Italia, al di là dei dazi. E che possa, da sola, significare un balzo in termini di Pil pari a circa 40 miliardi di euro e una spinta per l’occupazione stimabile in circa migliaia di nuovi posti di lavoro. Il Centro Studi di Conflavoro stima che “altri 45mila (lavoratori assunti nel 2025 ndr) saranno correlati alle politiche della presidenza Trump, con vantaggi significativi per l’Italia per quanto riguarda Manifattura e Lusso e Difesa e Aerospazio. Del resto già durante il suo primo mandato (2017-21), nonostante il timore dei dazi, l’export italiano verso gli Usa crebbe a ritmi del 4-6% annui trainato dalla domanda per moda, alimentari e macchinari”. Insomma, ciò che uscirebbe dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. Ma, prima di ogni altra cosa, va considerato che i dazi non rappresenteranno di certo la prima mossa di Trump da presidente. Come, tra gli altri, ha sottolineato il Wall Street Journal. E che, come gli altri acuti osservatori, ribadisce ciò che in Europa non tutti vedono: i “bersagli” primari della politica di dazi da parte di Trump sono Cina, Messico e Canada. L’Ue arriverà, senz’altro. Ma non ora.
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