Truffa da 18 milioni: tra le vittime Caterina Caselli e Giugiaro
Un elenco lungo, che comprende anche vittime eccellenti, quello delle persone cadute nella trappola organizzata da Daniele Migani e che ha condotto ad un sequestro di 18 milioni di euro. La truffa finanziaria era stata messa in atto attraverso le società elvetiche Xy e Xy Eos Ticino, tutte riconducibili a Daniele Migani (nel primo caso come fondatore e nel secondo come amministratore unico dal maggio 2014), che avrebbero esercitato investimenti senza le necessarie autorizzazioni in Italia.
Tra le vittime – molti, gli imprenditori del Nord Italia in possesso di ingenti patrimoni – figurano, nel decreto di sequestro firmato dalla gip di Milano Teresa De Pascale, la produttrice musicale Caterina Caselli, il figlio Filippo Sugar, il designer Giorgetto Giugiaro, oltre a imprenditori immobiliari noti nell’ambiente milanese a cui venivano proposti polizze assicurative, arbitraggi, certificati bonus cap e quote di un fondo lussemburghese.
In azione i finanzieri del Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di finanza, coordinati dalla Procura della Repubblica di Milano, che hanno svolto il sequestro preventivo a carico di Migani, residente in Svizzera, fondatore di un gruppo societario e amministratore di alcune società elvetiche, per un importo di circa 18 milioni di euro.
Il “sistema Migani” ricostruito dagli inquirenti verteva su “un sofisticato sistema societario”, creato al fine di collocare in Italia, “attraverso una folta rete di agenti”, numerose tipologie di prodotti finanziari: “polizze assicurative sulla vita, strumenti finanziari derivati, servizi di investimento in un fondo lussemburghese”. Tutto, in assenza delle autorizzazioni necessarie per operare fuori sede.
In particolare, le indagini “hanno permesso di accertare come nella fase di procacciamento dei clienti venisse falsamente presentata l’attività finanziaria svolta dal gruppo come un servizio legittimamente erogato in Italia”, ha spiegato il procuratore capo di Milano Marcello Viola. I clienti venivano profilati come investitori professionali, seppur in assenza di specifiche competenze finanziarie, mediante la sottoscrizione della cosiddetta “reverse enquiry”, predisposta dagli agenti del gruppo societario con un duplice intento: “mascherare l’attività abusiva e l’operatività esercitata sul territorio nazionale”.
Le ipotesi di reato contestate riguardano la truffa, l’abusiva attività finanziaria svolta in Italia e l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
Torna alle notizie in home