Economia

Torna la guerra di Tik Tok: “No al ban, difendi i tuoi diritti”

di Giovanni Vasso -


Tik Tok non ci sta e dopo il ban approvato ieri dalla Camera dei Rappresentanti del Congresso americano “scaglia” i suoi utenti contro il governo Usa. E lo fa in nome della libertà, nella terra che, da sempre, si pregia di essere the house of freedom. Fa squillare le trombe della rivolta il Ceo del social, edito dalla società Bytedance, Shou Zi Chew. Che ha affidato il suo “urlo” alla piattaforma X, ex Twitter, di Elon Musk. Chew ha tuonato: “Possiamo superare questa situazione tutti insieme”. E quindi ha suonato la carica: “Proteggi i tuoi diritti costituzionali, fai sentire la tua voce”. Da quel momento in poi, su Tik Tok e non solo, gli hashtag legati alla “rivolta” di Tik Tok stanno andando virali. La vicenda è seria, tutt’altro che derubricabile a cosa di poco conto, come i balletti che hanno reso la piattaforma di microblogging cinese un top player internazionale dei social.

Il congresso Usa, infatti, ha dato sei mesi di tempo a Bytedance per vendere le sue attività negli Stati Uniti (e più in generale in Occidente). Se i centoottanta giorni scadranno senza un nuovo acquirente, di provata fede occidentale e di sicura lealtà al Pentagono, Tik Tok dovrà essere spenta. Un provvedimento simile era stato avviato da Donald Trump, all’epoca della sua presidenza, e si era trattato con le major digitali, su tutte Oracom, per il passaggio di consegne. Va da sé che un provvedimento del genere confligga, a livello ideale (e non solo), con le idee di libertà economica che fondano, da sempre, l’impianto costituzionale e culturale degli Stati Uniti. Un paradosso, l’ennesimo, che vede la Cina comunista (ma non troppo…) nei panni di chi difende i principi liberali contro il “ritrovato” statalismo occidentale. Detta senza troppi fronzoli: la bagarre su Tik Tok rappresenta l’epitome della guerra commerciale in atto tra Pechino e Washington, con quest’ultima in ripiego su posizioni di reshoring e la prima che, invece, continua a difendere ciò che resta del villaggio globale. Ognuno, chiaramente, persegue, più che astratte e astruse teorie, la praticità dei suoi stessi interessi.

Intanto, da Pechino, il governo cinese alza la voce. Come al solito. E lo fa attraverso le parole del portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. Che ha accusato gli States di “bullismo” affermando che la mossa del Congresso “si ritorcerà inevitabilmente contro gli Stati Uniti” e, ricorda l’esponente del governo cinese, “gli Usa non hanno mai smesso di reprimere Tik Tok”. Nei mesi scorsi, motivando il ban con la paura che di dati rubati e dirottati direttamente in Cina, le amministrazioni occidentali, Usa e Ue in testa, hanno “vietato” l’utilizzo della piattaforma cinese ai loro funzionari. Ora la bagarre entra nel vivo. Anzi, ritorna nel vivo. E Mark Zuckerberg, il re dei social che da Tik Tok ha avuto più dolori che da qualunque altro competitor, si frega le mani.


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