The Object Stares Back Il grido rosa delle donne in azione nella Tube Culture hall
Alla Tube Culture Hall è il turno di “The Object Stares Back”, una mostra che riunisce 4 artiste londinesi. A Milano dal 24 maggio, curata da Mattia Pozzoni.
La storia dell’arte è la storia di opere viste attraverso una prospettiva maschile. Il corpo femminile, fulcro centrale di infiniti capolavori dalla Venere di Botticelli all’Origine del mondo di Courbet, raramente è stato ritratto da una donna. Se le donne hanno avuto pochissime possibilità di raccontare i propri punti di vista e le proprie sensazioni, i loro corpi venivano invece oggettivizzati. Come scrisse il critico John Berger in Ways of Seeing, descrivendo il modo in cui la cultura dei media plasma la politica di genere e la donna come oggetto, “gli uomini agiscono, le donne appaiono. Gli uomini guardano le donne. Le donne guardano se stesse mentre sono guardate”. Le donne, dunque, percepiscono se stesse attraverso lo sguardo maschile. Ma adesso the object stares back, l’oggetto restituisce lo sguardo e guarda a sua volta. E ci provoca, ritraendo il mondo in un modo unico e nuovo. Vogliamo suggerire un cambiamento, un passaggio da uno sguardo unicamente maschile ad una prospettiva diversa e aperta, che identifica le donne come protagoniste. Vogliamo smettere diguardare le donne solo come comparse rispetto ai protagonisti maschili: quattro artiste, Victoria Cantons, Lydia Pettit, Olivia Sterling e Yang Xu condividono riflessioni personali, critiche e narrazioni, conquistando il ruolo di soggetto attivo. Ognuna racconta una personale sfumatura di quella che è la visione femminile, un modo sofisticato e delicato, ma potente e fermo di sfidare le tradizioni e descrivere le nostre relazioni. Lo fa rappresentando una carnalità violenta e talvolta aggressiva, mettendo a nudo sé stessa fisicamente, ma ancor di più psicologicamente, sottolineando la bellezza e la verità di tutto quello che rende umana e non stereotipata ogni donna. Lo sguardo femminile è tenero e amorevole, come gli intimi ritratti di Victoria Cantons, i cui titoli danno poetiche letture dell’opera. Victoria afferma che non siamo solo la persona vestita che presentiamo al mondo, ma abbiamo innumerevoli volti. Pur rimanendo intrinsecamente unici, siamo definiti da come rispondiamo alla vita. I dipinti di Xu Yang partono come composizioni ispirate al Rococò per tradursi in riflessioni sulle convenzioni e sulle politiche che ruotano attorno a genere, potere e rappresentazione. Il suo alterego riflette sulla ricerca del corpo perfetto, confrontandosi con lo sguardo dello spettatore nella sua esasperata femminilità, sicura di sé, orgogliosa e sprezzante. Le donne possono sentirsi finalmente protagoniste e centrali, ma questa nuova situazione può provocare inaspettate crisi. Lydia Pettit indaga così in una serie di dipinti la situazione di dualismo in cui una donna può essere a volte vittima ed a volte carnefice, a seconda della lettura della scena. I dipinti di Olivia Sterling approfondiscono questo tema, concentrandosi sulla critica ai sistemi convenzionali di gerarchie del potere. Un tratto caricaturale ed una palette colorata riescono a mettere a nudo con leggerezza temi profondi, come la tendenza all’autocommiserazione della razza bianca, che pur da una posizione dominante sceglie spesso di vedersi come vittima. Grazie alla loro forza espressiva si contribuisce al cambiamento delle logiche del vedere. Con nuove lenti si propongono mondi diversi, superando visioni binarie e modelli scontati, per restituire il senso di ogni ricerca artistica e critica.
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