Attualità

Terra dei Fuochi, Italia condannata: “Lo Stato sapeva e non ha agito”

di Eleonora Ciaffoloni -


È una sentenza storica quella che la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) ha emesso nei confronti dell’Italia: una condanna definitiva per non aver adottato misure adeguate a proteggere la popolazione della Terra dei Fuochi, quell’area situata tra le province di Napoli e Caserta, dove risiedono quasi tre milioni di persone. Secondo la Corte, lo Stato italiano era pienamente a conoscenza della gravissima situazione ambientale ma non ha risposto con la dovuta diligenza e tempestività per prevenire ulteriori danni alla salute dei cittadini e all’ecosistema. Una sentenza che arriva a seguito della presentazione di un esposto che era stato presentato da 41 cittadini e cinque organizzazioni locali. Il primo firmatario della denuncia è Alessandro Cannavacciolo che ha deciso di rivolgersi alla corte nel “pieno di una crisi ambientale” che, ha raccontato, negli anni “non è mai terminata, ma ha semplicemente mutato forma”. Questo perché nonostante gli interventi e qualche rimozione superficiale dei rifiuti, centinaia di aree non sono state interessate e queste continuano non solo a non essere bonificate, ma anche ad essere sotto indagine. E il primo firmatario ha racconta la propria esperienza diretta, un caso emblematico: “La mia famiglia è stata decimata. La nostra azienda di ovini a pascolo brado, che si nutrivano dei campi coltivati, è stata devastata. Molti miei parenti si sono ammalati di tumore. Mio zio, che era socio dell’azienda, è morto in soli trenta giorni, e nel suo sangue è stata trovata una concentrazione altissima di diossina”. Per lui e per tutti i cittadini che hanno denunciato: “Questa sentenza sancisce che c’è stata una violazione del diritto alla vita”. E ripete Cannavacciolo: “Quando mostravamo gli agnelli deformi in piazza, lo Stato si è girato dall’altra parte, abbandonando i cittadini al loro destino”. Destino a cui è venuta incontro la Cedu, che ha concesso all’Italia un periodo di due anni per sviluppare una strategia concreta e articolata per affrontare l’inquinamento nella Terra dei Fuochi. Nello specifico, la sentenza impone allo Stato l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio per la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo; una piattaforma di pubblica informazione per garantire la trasparenza su rischi e misure di sicurezza; un rafforzamento delle misure penali per il traffico illecito di rifiuti, ma soprattutto obbliga l’avvio di un piano di bonifica “dettagliato” per l’eliminazione dei rifiuti tossici interrati e smaltiti illegalmente. Ora, a seguito della sentenza, il governo italiano dovrà attivarsi per colmare queste lacune entro due anni. Ventiquattro mesi per recuperare quanto è stato distrutto in anni di incuria e di omertà. Perché da decenni a questa parte l’area della Terra dei Fuochi è stata teatro di smaltimenti illegali di rifiuti industriali, spesso provenienti dal Nord Italia, ad opera della criminalità organizzata. Per risparmiare sui costi di smaltimento legale, le aziende pagavano la Camorra per interrare o bruciare i rifiuti tossici in campi, pozzi e laghi, trasformando la zona nel cosiddetto “Triangolo della morte”. “Per anni siamo stati minacciati, derisi, accusati di allarmismo. Ora la verità è sotto gli occhi di tutti. Negare la Terra dei Fuochi significa fare il gioco della Camorra” ha commentato il parroco di Caivano don Maurizio Patriciello. Ed è certo che La sentenza della CEDU è un punto di svolta nella battaglia contro l’inquinamento in Campania. Rappresenta il riconoscimento ufficiale di una crisi ambientale che per anni è stata negata o minimizzata dalle autorità e dalle istituzioni – locali e nazionali – che hanno governato il territorio. Ora il governo italiano ha un obbligo chiaro: rispettare le indicazioni della Corte entro il termine stabilito di due anni, pena ulteriori sanzioni e richieste di risarcimento per i danni ambientali e morali subiti dai cittadini.


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