Anche gli Elkann scoprono che Tavares non è Marchionne
epa11659064 Stellantis CEO Carlos Tavares attends the French presidential visit to the Paris Motor Show held at Paris Expo Porte de Versailles in Paris, France, 14 October 2024. The 90th edition of the biennial Paris Motor Show runs from 14 to 20 October 2024. EPA/LUDOVIC MARIN / POOL MAXPPP OUT
Anche gli Elkann si sono accorti che Carlos Tavares non è Sergio Marchionne. Ci sarebbe voluto, dicono quelli che la sanno lunga, un furioso litigio per liberarsi, “con effetto immediato”, del Ceo Stellantis. Dimissioni presentate e subito accettate, a tempi record, dal consiglio d’amministrazione presieduto da John Elkann: ciao Tavares. Ma c’è pure chi sussurra che, a scavare il solco definitivo tra la dirigenza e la proprietà, siano stati i dati non proprio esaltanti delle vendite di Jeep e Rams nel mercato statunitense. Dove Stellantis arranca e continua a farlo, alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump. Il quale, da parte sua, sarà un presidente protezionista anche a parole, e non solo nei fatti come lo è stato Joe Biden.
Il giorno dopo la notizia che ha scosso quel che resta dell’automotive europeo è stato quello delle reazioni. Caduto il re, o meglio il primo ministro, nessuno lo rimpiange. Anzi, qualcuno sì. Si tratta degli investitori in Borsa. Il titolo Stellantis è precipitato fino a perdere sette punti nelle contrattazioni. Non è Marchionne, Tavares. E l’alta finanza lo sa, l’ha saputo fin dall’inizio; però lo ha apprezzato per la sua fama di duro, di sforbiciatore di posti di lavoro, di taglia-teste (e taglia-costi). Pesa, inoltre, la situazione interlocutoria negli States da cui, lo san tutti ma lo dicono in pochi, dipende tanto del futuro del gruppo italo-francese. Tutti gli altri, però, lo salutano senza particolare fervore. C’è chi, come la Fiom, ci mette del veleno e tira in ballo la questione liquidazione che, stando agli spifferi, si aggirerebbe attorno ai cento milioni di euro. “Noi avevamo già chiare le proporzioni del fallimento dell’amministratore delegato. Si sta aggiungendo al fallimento industriale e occupazionale anche quello finanziario. Spero che il Consiglio di amministrazione e chi ha delle responsabilità intervenga per impedire che ora al danno si aggiunga la beffa di un accompagnamento all’uscita di centinaia di milioni di euro, che andrebbero invece investiti nell’azienda, a partire dagli stabilimenti italiani, nella ricerca e sviluppo e nelle lavoratrici e lavoratori che, ricordo, sono già a casa in cassa integrazione e forse riprenderanno a lavorare a gennaio”, ha detto a Rai Tre Michele De Palma, segretario dei metalmeccanici Fiom-Cgil. Non si sentirà la mancanza di Tavares nemmeno in casa Cisl: “La notizia delle dimissioni di Tavares non ci addolora. È stato un manager che, in questi anni, ha invertito completamente la rotta lungimirante di Marchionne: non ha mai creduto nelle relazioni sindacali, ha delocalizzato tanta produzione dall’Italia ad altri Paesi, ha tagliato l’occupazione, frenato gli investimenti soprattutto sull’innovazione ed è arrivato a sfidare lo Stato sul tema degli incentivi. Non ci mancherà”, ha tuonato il leader Luigi Sbarra a SkyTg24. Le scelte sbagliate sono quelle che, prima o poi, ti chiedono il conto. Paolo Capone, segretario generale Ugl, “saluta” Tavares sottolineandone vizi e mancanze: “L’ Ugl è stata molto critica rispetto a una gestione manageriale che ha puntato sulle delocalizzazioni e sul taglio agli investimenti. La crisi dell’automotive, che si è manifestata pesantemente per motivi legati all’instabilità internazionale e alle politiche ultra-green dell’Europa, è stata accentuata da scelte sbagliate, come lo spostamento delle produzioni al di fuori del nostro Paese, provocando un danno all’indotto e generando un impatto drammatico sotto il profilo occupazionale. Infine, l’atteggiamento di sfida verso il Governo ha contribuito a generare un esito fallimentare della gestione Tavares”.
La politica, da domenica, chiede con insistenza a John Elkann di relazionare in Parlamento. Il presidente Stellantis, prima di accettarne le dimissioni, ha informato del cambio di passo sia il Presidente Sergio Mattarella che la premier Giorgia Meloni. Una cortesia istituzionale non dovuta ma, almeno, segnale della volontà di cambiare registro rispetto ai toni muscolari utilizzati dal manager lusitano con le istituzioni. Il vento è girato e a Torino il benservito a Tavares arriva da La Stampa, quotidiano di casa Agnelli-Elkann, che si è accorta che la sua durezza e intransigenza non poteva portare a granché. Testimoniato, tutto ciò, dal bouquet di note parlamentari; destra e sinistra, Gasparri e Calenda, M5s e Fratelli d’Italia a nessuno mancherà il Ceo, anzi l’ex Ceo, Stellantis.
Il toto-nomi è partito. Per il dopo Tavares, la politica (e non solo) vuole un “nuovo Marchionne”. I nomi in ballo sono gli stessi che circolano da mesi, da quando Elkann e soci hanno aperto il casting per il nuovo Ceo. A cominciare da quello di Luca De Meo, da Renault. Se ne parlerà (molto) dopo Natale. Il gruppo nominerà il nuovo amministratore delegato entro i primi mesi del 2025. Ma di tempo ce n’è poco. La crisi Stellantis è grave. Ma è solo una delle tante, troppe, crisi che innervano l’intero automotive europeo. In Germania c’è il caso Volkswagen. I lavoratori sono in sciopero permanente, la loro battaglia non è solo quella per salvare il posto e il salario ma è una guerra per salvare il modello del capitalismo renano e delle conquiste sociali in terra tedesca. Ci vorrebbe una scossa per salvare le aziende ma, di sicuro, questa non arriverà dall’elettrico. Che ha contribuito ad affossare il settore confermando l’unica certezza che s’aveva fin dall’inizio: con l’avvento delle auto a batteria ci sarebbero stati migliaia di tagli alla manodopera in esubero e non specializzata. Così sta accadendo ma, intanto, le aziende stanno pure rischiando grosso. L’Europa, che ha tirato la linea, prosegue diritto. La nomina in Commissione della spagnola Teresa Ribeiro, che gli analisti danno per “nuova” Timmermans, non lascerebbe presagire nulla di buono. Eccolo, dunque, il busillis. Tavares all’auto elettrica ha mostrato di crederci, Marchionne non lo ha fatto mai. E questa è solo una delle (basilari) differenze tra due Ceo o, per dirla meglio, tra due filosofie di management.
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