Per Abbonati

Tasse piene e culle vuote

di Ivano Tolettini -


La parola d’ordine è rialzare il tasso di fecondità delle donne italiane. È l’unica strada per riscaldare l’inverno demografico e riempire le culle. Una famiglia su tre vorrebbe avere più figli, ma le condizioni la penalizzano. Per il governo di Giorgia Meloni è una delle priorità. Ma servono politiche fiscali e sociali mirate. Per la rivoluzione culturale cui aspira la ministra alla Famiglia, alla Natalità e alle Pari Opportunità, Eugenia Roccella, e di conseguenza l’esecutivo di centrodestra, cioè il “cambiamento significativo della genitorialità”, c’è bisogno di considerare “i figli come un criterio orientativo, e direi fondante, per la sua azione in ogni ambito”. Dunque “dal fisco agli incentivi alle imprese, dai bonus edilizi agli aiuti contro il caro bollette, dai fringe benefit all’assegno di inclusione che sostituisce il reddito di cittadinanza, perché i figli sono un parametro dirimente”.

 

I NUMERI

Come afferma Gianpiero Dalla Zuanna, uno dei massimi demografi italiani dell’Università di Padova, “senza immigrazione e con la fecondità attuale delle italiane tra i 20 e 39 anni, nel 2050 avremo 10 milioni di cittadini in meno”. Il dato è confermato dai soli 393 mila nati nel 2022, mentre riavvolgendo il nastro della storia demografica italiana nel 1964-’65 ci furono 1 milione di bebè. Il massimo storico. Che cosa fare per invertire una tendenza che ad esempio in Germania, dove nel 2011 le donne facevano meno figli che in Italia, ha visto un’impennata della fecondità negli ultimi anni? La ministra Roccella alla terza edizione degli Stati Generali della natalità osserva che “il governo sulla natalità ha un approccio innovativo, trasversale per materia, strutturale e non episodico”. Il ruolo della politica è decisivo e le pari opportunità sono cardini per sostenere e migliorare “il lavoro femminile, la conciliazione e l’armonizzazione tra vita e lavoro”. Se la segretaria del Pd, Elly Schlein, osserva che c’è un rapporto diretto tra denatalità e precarietà, e “sono d’accordo per un approccio strutturale per contrastare il crollo demografico”, Roccella insiste che bisogna creare un ambiente favorevole alla maternità e paternità, sostenendo la famiglia con tutti i provvedimenti nella prima legge di Bilancio varata dal governo, finanziando i mutui agevolati, intervenendo sui trasferimenti diretti con l’aumento dell’assegno unico. Per il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, “si parla della denatalità per tutelare la nostra cultura e la nostra lingua, non la razza. Siamo qui per capire se il nostro raggruppamento linguistico e culturale possa sopravvivere”, dunque di identità alla luce di una decrescita demografica che impatta drammaticamente sul Pil come evidenziano i numeri rispetto a Francia e Regno Unito.

DRAMMA SCUOLA

Il caso classico che si cita è quello della scuola. Il portavoce più autorevole è il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, per il quale tra dieci anni ci saranno 1 milione e mezzo di studenti in meno se non si invertirà l’andamento delle nascite. Questo comporterà 130 mila cattedre in meno. Nei prossimi dieci anni l’effetto sarà particolarmente rilevante alle Superiori con una perdita di quasi mezzo milione di studenti. “Questa situazione – aggiunge Valditara – dovrà condurre a nuovi criteri di formazione delle classi e a una revisione dei criteri di formazione degli organici”. Dati che il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, definisce choc, ma che da anni l’oracolo Dalla Zuanna mette in guardia le classi politiche di qualsiasi orientamento e credo politico. la verità è che ancora adesso in Italia la donna che ha figli è penalizzata nel mercato del lavoro, tanto che il tasso di occupazione delle single è doppio delle madri. Dunque, il governo deve insistere sulla leva fiscale, come hanno fatto le nazioni che hanno cambiato marcia sul tasso di fecondità – in Italia l’allarme c’è dagli anni Ottanta -, tenendo conto che i risultati si vedranno tra qualche anno. Nel frattempo, l’immigrazione sarà l’unica arma possibile. Nei prossimi dieci anni solo a Nordest (compresa l’Emilia) serviranno 50 mila ingressi l’anno per il mercato del lavoro. In caso contrario le nostre aziende conosceranno il declino. Come il Paese.

Torna alle notizie in home