Cronaca

Tangenti a Venezia: ex assessore a patti, Brugnaro “Io pulito”

di Ivano Tolettini -


Le tangenti in Comune a Venezia giravano. Ad incassarle sottoforma di consulenze fittizie versate da almeno tre imprenditori – la Pubblica accusa parla di 700 mila euro incassati o promessi -, che volevano un canale agevolato per suggellare i propri affari, era il potente assessore (ora ex) alla Mobilità, Renato Boraso, che sette mesi dopo il suo clamoroso arresto e dopo avere reso numerosi interrogatori fiume ai Pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini in cui ha sostanzialmente ammesso le proprie responsabilità, ha deciso di accedere al patteggiamento allargato per chiudere le sue pendenze penali. Nei giorni scorsi il suo avvocato Umberto Pauro ha depositato al gup Carlotta Franceschetti l’accordo con la Procura per la pena di 3 anni e 10 mesi di reclusione per le imputazioni di corruzione, turbativa d’asta e induzione indebita a false fatturazioni. Per il 16 maggio, quando è fissata l’udienza risolutiva, Boraso dovrà avere anche raccolto 400 mila euro per rendere tombale il patto con lo Stato e chiudere una pagina vergognosa in cui ha coinvolto l’amministrazione civica veneziana che si era presentata con ben altre credenziali. In quella occasione patteggeranno anche i corruttori, vale a dire gli imprenditori Daniele Brichese (3 anni e 10 mesi di reclusione), Fabrizio Ormenese (2 anni e 9 mesi) e Francesco Gislon (2 anni e 6 mesi), che sabato scorso sono usciti dagli arresti domiciliari dopo il deposito della richiesta. Per la Procura della Repubblica di Venezia, retta quando deflagrò il caso dal procuratore Bruno Cherchi, il quale lo scorso autunno andato in pensione, è un successo investigativo. Chiuso questo capitolo processuale, resta adesso aperto l’altro procedimento dell’inchiesta ribattezzata “Palude” che chiama in causa il sindaco Luigi Brugnaro, indagato per concorso in corruzione, che protesta la sua più assoluta innocenza e che afferma di “avere agito solo per aiutare Venezia. Venerdì scorso gli stessi Pm Terzo e Baccaglini hanno notificato a 34 indagati l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Al centro di questo troncone c’è la ventilata cessione – che Brugnaro nega nelle forme contestate dai Pm – dell’area dei Pili al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong, coinvolto nell’inchiesta con il suo collaboratore italiano Luis Lotti, per la quale in tesi d’accusa la superficie acquistata da una società del sindaco nel 2006 per 5 milioni di euro, avrebbe dovuto essere venduta al cinese inizialmente per 85 milioni, quindi per 150 milioni, corredata da una possibilità di edificare 340 mila metri quadrati alle porte di Venezia, all’ingresso del ponte della Libertà, verso porto Marghera. Col sindaco Brugnaro rischiano la richiesta di rinvio a giudizio il suo fidato collaboratore Morris Ceron, diventato direttore generale del Comune e capo di gabinetto, e l’altro braccio destro Derek Donadini, vice capo di gabinetto. A chiamare in causa il primo cittadino è stato il discusso imprenditore Claudio Vanin, inizialmente coinvolto nel piano dei Pili con la trevigiana Sama Global, che quando annusò di rischiare di essere messo da parte si rivolse alla Guardia di Finanza. Tra i capi d’imputazione c’è anche la vendita di palazzo Papadopoli, valutato 14 milioni di euro e ceduto a Kwong per 10,7 milioni di euro, anche se c’è sottolineare che l’asta pubblica era andata deserta un paio di volte e Brugnaro spiega che l’imprenditore cinese l’aveva pagato il giusto. Legata alla cessione di palazzo Papadopoli c’è anche una presunta consulenza fittizia di 73 mila euro percepita dall’assessore Boraso. Brugnaro e Ceron respingono la ricostruzione dei magistrati e sono pronti a dare battaglia in aula. “Con le vicende dell’ex assessore Boraso non c’entro nulla – afferma ai cronisti un sofferente Brugnaro – il Comune è sano. La vendita dei Pili? Ma quale vendita, non ho mai venduto niente in vita mia, io compro, quale vendita, assolutamente no, che poi l’azienda (ha affidato i suoi beni a un trust, ndr) abbia gestita l’area è doveroso, ma non ho mai firmato nulla. La questione non è mai passata nei gruppi in Consiglio comunale e non ne ho mai parlato nemmeno con gli uffici. Chiedete in giro. Mai”. Quanto a palazzo Papadopoli, egli sottolinea: “Era un immobile lasciato là, e dopo due aste andate deserte abbiamo trovato l’acquirente. Pensavo mi dovessero dare una medaglia per la vendita, ma di quello che è successo dopo non ho la più pallida idea. Rispetto chi indaga, ma non ho fatto nulla. Chi non sbaglia è chi non fa mai niente, chi fa le cose…ma io ho intenzione di continuare a fare”.


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