Editoriale

Tabula rasa made in Usa

di Adolfo Spezzaferro -


Tutti quelli che da quando gli americani lo hanno (ri)eletto presidente dicono che Donald Trump fa Donald Trump e che quindi da lui non ci si può aspettare niente di buono; tutti i suoi detrattori – i liberal, i radical chic, le sinistre varie in giro per il mondo – che vedono in The Donald un pazzo scatenato che vuole cacciare tutti gli immigrati e trivellare e impestare il mondo di (altro) petrolio, infrangendo il sogno green; tutti quelli che lo considerano alla stregua di un mezzo pregiudicato che fa solo impicci per puro interesse personale; tutta questa gente non ha voluto cogliere il cambiamento. Il 47esimo presidente degli Stati Uniti, che ieri nel discorso di insediamento ha annunciato una nuova età dell’oro per il suo Paese, fatta di libertà ad ogni livello; il tycoon che ha stravinto, forte del consenso dell’America profonda; il leader repubblicano che ha sparigliato per la seconda volta, mettendo nell’angolo le dinastie dem e le loro lobby; The Donald è cambiato. E questo cambia tutto. Gli annunci che si sono susseguiti nelle scorse settimane sulla squadra del Potus hanno man mano composto il quadro, hanno rivelato il piano: l’America di Trump vuole fare un reset, una tabula rasa di quello che è andato per la maggiore nelle liberaldemocrazie occidentali negli ultimi anni: l’ideologia woke e quella gender, la fuffa che ha allontanato i politici dai cittadini, le follie green e le battaglie inutili sui bagni pubblici per i soggetti non binari. Agli occhi dei suoi detrattori, questo reset voluto da Trump appare come una sorta di restaurazione, di ritorno al medioevo. Le anime belle della sinistra considerano questi atti – preannunciati in campagna elettorale, affermati con vigore nel discorso d’insediamento e poi emanati come decreti-lampo già nel primo giorno di presidenza – come assolutamente inutili oltre che nocivi, perché secondo loro le priorità sarebbero altre. Ebbene, posto che Trump ha anche iniziato a mettere in atto le sue politiche sull’immigrazione irregolare, sulla ricostruzione dalle fondamenta dell’economia americana, sul ripristino dell’equilibrio globale puntando a porre fine alle guerre e impegnandosi a non iniziarne altre, il suo voler porre fine ai deliri liberal che tanto spazio hanno avuto finora nell’agenda dei paesi occidentali (dove ancora non c’è la destra al governo, sia chiaro) è la prova che lui è cambiato e che intende cambiare tutto il resto. Perché il cambio di paradigma – “i generi sono soltanto due”, “stop al green deal”, “ripristinerò la libertà d’espressione” – è esattamente quello che vogliono gli americani. Che non sono i liberal dei quartieri bene, ma i redneck, gli operai, la numerosa classe media sempre meno benestante. Americani che se ne fregano se i bagni pubblici sono divisi soltanto in “uomini” e “donne”, e che però di certo non vogliono più vedere maschi che si sentono donne gareggiare e vincere nella categoria femminile di qualche sport. Trump è cambiato perché ha imparato la lezione, ha recepito e fatto sue le istanze dell’America profonda e vuole ricostruire sopra le macerie del politicamente corretto, del dogma dell’inclusività e dell’aberrazione gender. Resettare tutto ciò serve pure a reindirizzare e far ripartire il business (la parabola woke è già conclusa di suo). Adesso, poi, con Musk dalla sua parte, Trump è pronto pure a lanciare la sfida alle stelle. Altro che Canada: è Marte il prossimo stato Usa.


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