Sulle orme di Lady Thatcher
GIULIANO CAZZOLA
di GIULIANO CAZZOLA*
Ad ascoltare le opposizioni Giorgia Meloni dovrebbe passare gran parte del suo tempo a smentire i suoi ministri e collaboratori. L’ultima richiesta della serie riguarda – persino – un vice presidente del Consiglio e titolare degli Esteri, Antonio Tajani. Il ministro, avrebbe fatto cenno al ricorso alle privatizzazioni allo scopo di reperire risorse per le politiche pubbliche, e come esempio, ha citato il caso dei porti che non è proprio il più felice e comprensibile.
Peraltro i porti ‘’hanno già dato’’ più di altri settori, in quanto attualmente sono di proprietà pubblica ma in gestione privata. Chi ha qualche decennio sulle spalle ricorderà certamente il ‘’tormentone’’ degli anni ’80 con le lotte dei ‘’camalli’’ in difesa del loro monopolio nella gestione dell’attività portuale con vincoli che rendevano non competitivi i nostri porti. Sappiamo poi che a partire dai primi anni ’90 è iniziata ad ampia fase di privatizzazioni che, non solo ha aperto ai capitali privati il settore a partecipazione statale, ma in generale ha adottato le regole societarie delle aziende a capitale privato che, anche nel caso in cui la maggioranza delle azioni o comunque il controllo delle nuove società sono rimasti nelle mani dello Stato, si misurano da anni con le quotazioni dei mercati finanziari.
Per un lungo arco temporale le manovre di bilancio hanno messo in conto i proventi delle privatizzazioni, senza realizzare a consuntivo gli obiettivi previsti. Anche il tentativo di dismettere quelle che una volta erano le aziende municipalizzate e che sono diventate strutture in house per la gestione dei servizi sociali, si sono scontrate con le resistenze dei poteri locali. Ma qualche cosa è cambiato. Se in questi anni molte imprese italiane sono comunque riuscite a reggere e a produrre ricchezza entro un quadro tanto difficile, proviamo ad immaginare come potrebbe crescere l’economia italiana se si riuscisse a introdurre più competizione e libertà d’impresa ad ogni livello.
Un processo di privatizzazione degli ambiti monopolizzati dallo Stato permetterebbe anche – secondo l’Istituto bruno Leoni – di aggredire la spesa pubblica. Se si vuole massicciamente liberare il settore produttivo dai gravami fiscali, è indispensabile avviare, negli ambiti monopolizzati dallo Stato, coraggiosi processi di riforma, i quali introducano opportunità di scelta per i singoli e le famiglie. Il degrado del sistema educativo italiano, dalle scuole materne all’università, non è spiegabile se non si focalizza l’attenzione sul fatto che una volta statizzati tali ambiti si distrugge la fonte stessa degli incentivi (e dei disincentivi) e ci si incammina verso la distruzione di ogni merito, qualità e professionalità. La dismissione delle imprese e degli asset patrimoniali ancora controllati dallo Stato è quindi cruciale in ogni ambito, e può servire ad aggredire un problema gravissimo dell’economia italiana: il debito pubblico. La vendita di questi spezzoni di “Stato imprenditore” può apportare alle casse pubbliche risorse consistenti, in grado di ridurre il ricorso al prestito e chiudere definitivamente quelle che quasi sempre sono voci costantemente in passivo. Ma la sua urgenza non viene tanto da ciò, bensì dalla necessità di mettere in moto e far crescere in qualità ed efficienza settori così importanti dell’economia e della società.
Giorgia Meloni dovrebbe tornare all’insegnamento di Margaret Thatcher che ha cambiato il paradigma dell’economia. Nel Regno Unito alla fine anni 70, le imprese private erano controllate dal settore pubblico e quelle pubbliche da nessuno. Dal 1981 al 1987 il Governo Thatcher sottrasse dal controllo e dalla spesa dello Stato un imponente numero di società partecipate: dalla British Telecom (1984), alla British Gas (1986); dalla British Airways (1987) alla British Petroleum (1983); dalla British Airport Authority alla associated British Pors, alla Jaguar, alla National Bus Company, alla British Sugar Corporation, alla British Steel, alla British Rail Hotel, Amersham International, alla Cable & Wireless, alla Ferranti, alla Sealing Ferries, ad alcune ferrovie ed alla produzione e distribuzione dell’acqua. E non è vero che vi furono tagli insostenibili del welfare. Quando la Lady di ferro salì al potere, nel 1979, alle voci sanità, pensioni, educazione andava meno della metà delle uscite totali; dopo la cura vi era destinato il 61 per cento.
*(economista e sindacalista)
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