Economia

Sud in rosso: le pensioni ora sono più degli stipendi

di Giovanni Vasso -


A Sud del Sud, i santi lasciano il posto ai pensionati. Che non voleranno, come san Giuseppe da Copertino, ma che riescono a mandare avanti le loro famiglie, allargate, grazie all’assegno Inps dopo una vita di sacrifici. La notizia non è che il Sud campa più di pensioni che di stipendi. È così da troppo tempo. La novità, semmai, è che quello che oggi accade a Mezzogiorno presto si trasformerà nella normalità, anzi nella “nuova normalità” di tutto lo Stivale. Colpa di un Paese che invecchia, certo. Colpa delle culle vuote, sicuramente. Colpa anche di un’economia che si impoverisce e rimpicciolisce, che osa sempre di meno che derubrica la creatività al luogo comune di dar sempre la colpa, appunto, a qualcun altro. E colpa, chiaramente, di una burocrazia – che sia italiana o europea, poco importa – che starebbe meglio in un racconto di Kafka piuttosto che nella quotidianità delle famiglie italiane. Eppure qualcosa che si muove c’è. Ma i grandi progetti di ricerca, gli incubatori di start-up e le grandi scommesse, tanto al Sud quanto nel resto d’Italia, non possono più rimanere tali. Insomma, ci vorrebbe meno sociologia e molta industria in più.

La Cgia di Mestre sciorina i dati del 2022. E sono rivelatori non tanto di quanto accade oggi ma di quello che potrà succedere domani. Il dislivello tra stipendi e pensioni è numericamente imponente in alcune importantissime realtà del Sud. A cominciare da Napoli dove ci sono 92mila pensionati in più rispetto ai dipendenti. Non va granché meglio a Palermo, nell’altra grande capitale del Sud, dove mancano 74mila buste paga per colmare il divario con gli assegni pensionistici erogati. Peggio ancora, restando in Sicilia, accade a Messina dove ci sono 87mila occupati in meno rispetto ai pensionati. Più o meno quello che accade a Reggio Calabria (il rapporto parla di 85mila unità lavorative in meno). Ma lo scenario peggiore, secondo i numeri Cgia, è a Lecce. Al Sud del Sud i santi non volano più. Meno male che ci sono i pensionati. E se ne trovano, nel Salento, quasi centomila in più rispetto agli occupati a vario titolo. Per la precisione, ci sono 97mila lavoratori attivi in meno rispetto ai pensionati. Una catastrofe, quella di Sud e pensioni, che racconta di paesi che si avvolgono su loro stessi, di città che si svuotano, di famiglie che non riescono a formarsi. Uno spettro che, però, comincia ad aleggiare anche su molte realtà del laborioso Nord. Le cifre non sono paragonabili, sia chiaro. Quello che fa paura è il trend. C’è Genova, per esempio, che oggi conta 20mila pensionati in più rispetto ai lavoratori. E ciò rappresenta una spia rossa, se non proprio un lapide, sul futuro dell’ex triangolo industriale che, ormai, s’è spostato armi e bagagli sull’asse Nord-Est. E inguaia tutta la Liguria dal momento che tra le città del Nord dove i pensionati sono più dei lavoratori figurano anche Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila) e Savona (-12mila). Un’altra dinamica interessante è quella che investe la provincia rispetto alle metropoli. Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) sono tutte realtà che vanno spopolandosi. Il centro che, fatalmente, depaupera la periferia o, per dirla meglio, le metropoli che calamitano a sé giovani e famiglie mentre le aree interne si spopolano. E può solo andar peggio. Già, perché stando alle proiezioni e alle stime Unimpresa, citate proprio da Cgia, entro il 2028 saranno ben 2,9 milioni i lavoratori e di questi ben 2,1 milioni sono settentrionali. Insomma, va rintracciata una dinamica più profonda attorno ai dati piuttosto che quella, semplice e auto-assolutoria, del “solito” Sud. È il lavoro che manca ma pure la progressiva periferizzazione di interi pezzi di Paese. Il turismo, da solo, non colma le gravi lacune. C’è bisogno di produzione, di industrie, di agricoltura. E di figli. C’è bisogno che l’Italia, davvero, mantenga l’ultima promessa: quella di diventare il centro delle rotte del mondo nuovo, di tornare a essere la cerniera tra l’Africa, il Medio Oriente e l’Europa.


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