Il Sud può ripartire ma l’Europa non c’è
Il mondo cambia e il Sud, ce lo diciamo da tempo, non deve lasciarsi scappare l’occasione di riscatto che si prospetta. Quella di essere il “ponte” del Mediterraneo tra il Medio e Vicino Oriente, i mercati emergenti, l’Africa del Nord e l’Europa. Che, però, purtroppo ancora non c’è. Se il Sud è alla chiamata della vita, l’Europa è all’ultimo appello. Le relazioni di Mario Draghi e di Enrico Letta, nei giorni scorsi, hanno svelato ciò che già si sapeva. In Europa domina la disunione, il mercato unico è una chimera e l’Ue dipende da tutto il resto del mondo in troppi ambiti strategici. Dall’energia fino alle armi. Considerazioni che sono state espresse, ieri a Napoli al Festival Euromediterraneo dell’Economia, dal governatore emerito di Bankitalia, Ignazio Visco, che ha pronunciato parole chiare e nette sulla situazione e sui pericoli che corre l’Ue. “Siamo in ritardo nelle tecnologie di uso generale, quelle che poi si riflettono in tutte le attività produttive, in tutte anche le attività di consumo delle famiglie”. E quindi: “C’è un rischio di ampliamento del gap tecnologico che abbiamo in Europa, non solo in Italia, nei confronti degli Stati Uniti e in prospettiva anche nei confronti della Cina”. Uno smacco per il Continente che ha guidato tutte le rivoluzioni tecnologiche degli ultimi tempi: “C’è stata una nei secoli passati la macchina al vapore, poi l’elettricità, internet. Noi su internet siamo arrivati in ritardo, non abbiamo neanche digitalizzato a sufficienza e il mondo adesso è un mondo nella transizione digitale, ma ce ne sono altre davanti che hanno opportunità ma anche a costi a cui bisogna essere attenti, rischi. Pensiamo all’intelligenza artificiale, pensiamo alla quantum computing, pensiamo alla quantistica, pensiamo alla connettività cloud, le nuove tecnologie per l’energia rinnovabile, sono tutti settori e materie nelle quali c’è un ritardo e bisogna evitare che questo si accresca”. Anche per Visco, come per Draghi e Letta, ci vuole più Europa. Ma non a chiacchiere. “Ci sono rischi di frammentazioni conseguenti ai conflitti e alle protezioni delle singole economie”, ha spiegato l’ex inquilino di Palazzo Koch: “La risposta non può che andare nella direzione di una maggiore integrazione. Il cammino resta difficile”. Già, perché quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a chiamarsi fuori: “Abbiamo una difficoltà nel mettere insieme i mercati dei capitali nel nostro continente cruciali per finanziare un cambiamento di cui abbiamo bisogno, soprattutto sul piano dell’unione bancaria e una capacità fiscale europea per la soddisfazione dei bisogni e beni comuni con solo legati e a difesa e sicurezza, cruciale, ma per il vivere civile”.
Se fallisce l’Europa, sfuma anche l’ultima opportunità per il Sud di rilanciarsi. Non è un mistero che le nuove rotte commerciali, abbandonati gli oceani, passino dal Mediterraneo. Si sta tornando a un modello Nord-Sud. Il ministro all’Industria e al Made in Italy Adolfo Urso, che ha inviato un videointervento al Feuromed, ha spiegato: “Il Mezzogiorno è diventato, per necessità, piuttosto che per scelta, il ponte dello sviluppo dell’Europa e la via dello sviluppo. Quella che conoscevamo, che nella prima fase della globalizzazione ha giustamente perseguito l’integrazione dell’Europa centrale e orientale lungo la via continentale, oggi non c’è più: ha finalmente preso atto che tutte le condizioni di quel mondo sono purtroppo cambiate”. E ancora: “L’Europa non può più crescere in Oriente e con l’Oriente, la guerra della Russia in Ucraina e le sue conseguenze lo stanno dimostrando, quindi dovrà necessariamente crescere con e insieme all’Africa e alla sponda Sud del Mediterraneo, perché le vie dello sviluppo e dei mercati non sono più quelle del continente verso Oriente, essendosi alzata un’altra e più grave cortina di ferro, che chiude allo sviluppo e ai mercati le potenzialità dell’Oriente”. Per Urso la strada è altrove, dall’altra parte del Mediterraneo: “Il Vecchio Continente dovrà crescere nei prossimi decenni con e grazie al ponte di sviluppo che il nostro Mezzogiorno rappresenta, sia per quanto riguarda le rotte commerciali, sia per l’approvvigionamento di energia e di materie prime, che servono all’industria europea, attraverso il Mediterraneo. Tutto ciò ci conduce in Africa e nel Medio Oriente, soprattutto se guardiamo allo sviluppo demografico di quel continente”. Ma per farlo dovrà, prima, ritrovarsi, l’Europa.
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