Cultura & Spettacolo

Strega 2024 a Donatella di Pietrantonio con “L’età fragile”: una vittoria annunciata

di Anna Lina Grasso -


Non vogliamo girarci intorno e diciamo schiettamente che la vittoria annunciata (avrebbe meritato “Invernale” di Dario Voltolini) del romanzo della scrittrice abbruzzese Donatella di Pietrantonio, L’età fragile, pubblicato da Einaudi e già vincitore dello Strega giovani, è in linea con la qualità libraria italiana degli ultimi decenni: abbastanza mediocre.

Anche quest’anno il Premio Strega è partito sotto l’egida dell’analfabetismo funzionale, esordendo con una dichiarazione quantomai imbarazzante e irrispettosa del Presidente della Fondazione Bellonci Stefano Petrocchi, il quale a chi, ha fatto giustamente notare l’assurdità del regolamento del Premio Strega, con 81 libri proposti da leggere in 30 giorni, ha risposto citando nientemeno il film “American Fiction”, premiato agli Oscar 2024. American Fiction è un film satirico sull’assurdità del momento storico in cui viviamo; American Fiction di una cultura ancella dell’ideologia, dove non conta la qualità dell’opera ma il ruolo sociale dell’autore, dove la retorica dell’inclusività è diventata strategia di marketing, per cui nelle librerie ci sono le etichette sugli scaffali con la scritta “libri scritti da donne”.

E infatti il protagonista viene invitato – in quanto nero, – a far parte della giuria del premio in questione; dove ascolta boriosi intellettuali lanciarsi in lodi che sono concentrati di retorica, mentre i giurati si lamentano della grossa mole di libri che tocca loro leggere, arrivando ad un accordo per leggere solo le prime 100 pagine di ogni volume.

Eterogenesi dei fini. La medesima situazione del Premio Strega, ben illustrata dal Presidente della Fondazione Bellonci l quale dimostra, secondo lui, che tutti sanno che i giurati dei premi non leggono davvero i libri, e solo chi ha una concezione “stupida” della lettura può pensare il contrario.

il Direttore ha seguitato nel vantarsi di quanto il Premio Strega sia “inclusivo”, di quante donne siano candidate e non da oggi, dimostrando ancora che chi ha dato adito a quel modo di pensare è esattamente l’oggetto della satira di “American Fiction”, 

Incredibile ma vero. Come è vero che ha vinto un libro la cui autrice, certamente ha un ruolo sociale importante nella comunicazione e nei salotti italiani che contano. Senza trascurare il fatto che è una donna.

L’età fragile è un romanzo modesto, dispersivo, contorto e involuto soprattutto a causa dell’insistenza dell’autrice di concentrarsi spesso su piccoli concetti cominciati e mai portati a termine.

Anche l’operazione di spostamento della narrazione dallo “sfondo” al “primo piano”, risulta poco convincente e inefficace giacché Donatella Di Pietrantonio usa sempre la prima persona singolare e il presente indicativo e il passato prossimo.

La tecnica narrativa adottata da Donatella Di Pietrantonio si rifà alle forme del new journalism americano che confida nell’io-narrante per la resa della storia per raccontare un dramma famigliare e il difficile rapporto dell’“io narrante” madre con l’inquieta figlia Amanda, che si trova nell’età fragile, appunto.

La vicenda famigliare si unisce alla lotta per la difesa del proprio territorio dalla speculazione edilizia. Anche in questo romanzo è presente l’Abruzzo dell’autrice, la novità, tuttavia, rispetto ai precedenti romanzi, è nello spostamento dello sfondo dall’asse città-paese a quello paese-bosco di montagna, luogo ideale dove si consumano fatti oscuri e dare in questo modo una pennellata noir alla storia.

Ma Di Pietrantonio mischia troppi generi (addirittura nella parte finale fa capolino il fantasy) perché ne possa prevalere uno in maniera risolutiva, come se l’autrice volesse dire che in fondo l’esito della storia non può avere un senso.

Senza dubbio ancora una volta l’autrice dimostra l’impossibilità di tagliare il cordone ombelicale con la propria terra, presentando personaggi bizzarri che appaiono e scompaiono, con i quali è difficile empatizzare.

L’età fragile è uno sfogo di mugugni, recriminazioni, incomprensioni. Un groviglio espositivo con diverse forzature. Perché una ragazza di venti anni che non studia, non lavora, dorme tutto il giorno per poi vagare per casali altrui è fragile? Se la causa della fragilità di sua madre Lucia è da trovare in un fatto di cronaca nera (avvenuto nel 1997 per mano di un pastore macedone che uccise due ragazze padovane), non si riesce a capire i motivi della “fragilità” di Amanda che sembra essere la classica ragazza svogliata che sublima il proprio malessere.

Inoltre l’esperienza personale del rapporto con la propria madre in un determinato momento storico fa testo solo per la persona che lo racconta. Le variabili sono molte: la geografia, la società, la cultura, l’economia, la politica. Il contesto dell’Età fragile è diverso da quello di oggi e di conseguenza la storia narrata non può configurarsi come un modello universale, come una memoria collettiva profonda.

Insomma anche quest’anno il Premio Strega conferma la sua vocazione al gioco remunerativo e al familismo e non lo si può considerare un metro con cui misurare la reale qualità letteraria italiana.


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