Cultura & Spettacolo

Storia del teatro – L’azione e l’ipocrisia dell’attore

di Michele Enrico Montesano -

20000717 - AVIGNON, VAUCLUSE, FRANCE : French actor Samuel Churin (C) performs late 17 July 2000, the play " L'apocalypse joyeuse " (The Merry Apocalypse) written and directed by French Olivier Py during the International Avignon theater festival, south of France. ANSA / EPA PHOTO AFP/ANNE CHRISTINE POUJOULAT/ACP/sb-vl / PAL


Teatro e attore – Nella vita, come nel Teatro, il conflitto ne è parte integrante. Conflitto deriva dal latino cum fligere e il significato ha una duplice valenza a seconda dell’uso. “Far incontrare” transitivo o “urtare” intransitivo. In gran parte del mondo l’etimologia di “conflitto” indica l’incontro di due cose differenti: idee, situazioni, interessi. Nella Poetica di Aristotele, si evince che il Teatro era un luogo della città dove si esprimevano conflitti in una contrastata armonia, l’unico spazio che denunciava il divario da colmare tra la sfera di riflessione intellettuale (filosofica, politica, religiosa, artistica) e la dimensione della vita quotidiana. Il conflitto muove la società, termine che deriva dal latino socius (“compagno”) derivato dal protoindoeuropeo sekw- che significa “seguire”. Perciò la società ha nel suo significato un verbo attivo. Seguire insieme, essere insieme. È qualcosa di vivo che si alimenta con il sostegno di tutti. Dal conflitto si scaturisce anche l’azione drammaturgica. In origine infatti il ditirambo veniva cantato dai coreuti che si disponevano in cerchio all’altare dedicato al dio Dioniso – e da qui nasce la forma circolare della struttura architettonica del teatro. Sempre Aristotele, nel IV capitolo della Poetica, ricostruisce le origini della tragedia: «sorta in origine dall’improvvisazione da coloro che intonavano il ditirambo». Evidentemente durante questi canti, un giorno “un fedele più audace, più geniale, o semplicemente più ebbro degli altri, balzò su un masso e rispose al coro, forse fingendo di essere Dioniso”, come scrive Lunari. Inventando le parole del dio, la manifestazione religiosa assunse anche la sacralità artistica. Secondo la leggende il nome di questo “fedele più audace” corrisponde ad Arione di Lesbo. È il 620 a.C. Il ruolo del solista, che rompendo la monotonia del coro getta le basi del Teatro creando il δρᾶµα (drama) ossia l’azione, è chiamato ὑποκριτής (ypocritès) ossia “colui che risponde” e in un secondo momento indicherà il significato di “attore”. Al giorno d’oggi la parola ipocrita descrive una persona che simula e si può dedurre il perché. Da ὑποκριτής (ypocritès) si passa all’agonista “colui che agisce” o “colui che lotta”. Inizialmente l’agonista interpreta tutti i personaggi che dialogano con il coro e mai tra di loro. È Eschilo che introduce il secondo attore, l’antagonista, contrapposto dunque al proto-agonista. Grazie a questa introduzione nasce il vero dialogo. È importante perché, citando le parole dello psicologo e saggista Ugo Morelli “si vede così la possibilità per l’agonista di far emergere sulla scena una relazione ed un’istanza dialogica che richiede la presenza dell’altro: evento decisivo per i nostri ragionamenti perché si sposta l’attenzione dall’individuo alla relazione e ci segnala che il dialogo e conflitto drammatico è un cum fligere, un incontro: il luogo dell’emergenza del processo e del significato che viene fuori dalla scena”. Le possibilità espressive si moltiplicano, il dialogo non è più tra un individuo e un tutto, ma tra due pari che sono in contrapposizione. La tragedia si caratterizza per il conflitto drammatico che è in netto contrasto con ciò che erano i momenti epici (ossia i momenti narrativi da ἕποµαι, èpomai, “narrare”) e contemplativi contenuti al suo interno. I dialoghi non narrano e non contemplano, mettono in scena un’azione che deve essere vissuta e vista. È il Teatro; e anche qui l’etimologia è illuminante: da ‘theastai’ ovvero ‘vedere’.


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