Esteri

Stoltenberg l’interventista frenato sui missili contro Mosca

di Ernesto Ferrante -

Left to right: President Volodymyr Zelensky (Ukraine) with NATO Secretary General Jens Stoltenberg


Le forniture militari come strumento di risoluzione delle controversie in luogo della diplomazia: il segretario generale uscente della Nato, Jens Stoltenberg, non perde occasione per ribadire la sua linea interventista. “Ora forniamo materiale militare per una guerra, allora avremmo potuto fornire materiale militare per impedire la guerra”, ha detto Stoltenberg in un’intervista rilasciata oggi al settimanale tedesco Fas, sottolineando la riluttanza della Nato a fornire le armi che il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky aveva chiesto prima dell’inizio dell’operazione militare speciale a causa del timore che le tensioni con Mosca potessero superare il livello di guardia.
Il presidente Joe Biden e il primo ministro britannico Keir Starmer hanno confermato il loro sostegno a Kiev. La Gran Bretagna si prepara a dare il via libera agli alleati ucraini ad usare i suoi missili a lungo raggio Storm Shadow per colpire anche il territorio russo, con il consenso degli Stati Uniti. Tuttavia ad oggi non è stata ancora presa alcuna decisione.
Biden ha sminuito la minaccia del leader russo Vladimir Putin di una guerra contro l’Occidente in caso di eliminazione delle restrizioni imposte sull’uso delle armi fornite agli ucraini. “Non penso molto a Vladimir Putin”, ha dichiarato Biden mentre incontrava il premier Starmer alla Casa Bianca. Per il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, il “semaforo verde” non significa che Washington entri direttamente nel conflitto. “Naturalmente non si tratterebbe di un ingresso degli Stati Uniti (nel conflitto Russia-Ucraina, ndr). Siamo stati molto chiari sul fatto che gli Stati Uniti non parteciperanno a questa guerra…Non metteremo gli stivali sul terreno”, ha fatto sapere Miller durante un incontro con la stampa.
Le autorità ucraine insistono. Il “terrorismo russo inizia nei depositi di armi, nei campi d’aviazione e nelle basi militari all’interno della Federazione Russa”, ha rimarcato Andriy Yermak, capo di gabinetto della presidenza ucraina, su Telegram.
L’Italia continua a credere ancora nella possibilità di una soluzione politica per evitare il peggio. “Credo che si debba lavorare per andare avanti nella direzione di un tavolo per la pace e di una conferenza come quella che si svolse in Svizzera un paio di mesi fa, con la partecipazione anche della Russia e della Cina. Ma la Russia non può arrivare con la soluzione e cioè la resa dell’Ucraina, la pace è un’altra cosa: la pace è una pace giusta che garantisca l’indipendenza dell’Ucraina”. Lo ha dichiarato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a Cagliari, rispondendo ai giornalisti sull’eventualità che venga autorizzato l’uso di armi fornite dagli occidentali all’Ucraina in territorio russo.
L’ex direttore della Cia David Petraeus, parlando alla Bbc, ha affermato che il presidente russo Vladimir Putin sta bluffando sulla sua linea rossa sui missili a lungo raggio e che non c’è nulla di più “che possa effettivamente fare che non stia già facendo”. Secondo lui il leader russo “ha già stabilito innumerevoli linee rosse in passato. Gli ucraini e i paesi occidentali le hanno attraversate quasi tutte”.
Nella giornata di sabato la Russia ha scambiato 103 prigionieri di guerra ucraini con l’Ucraina in cambio di altrettanti russi, in un accordo mediato dagli Emirati Arabi Uniti. A renderlo noto è stato il ministero della difesa russo, precisando che “103 soldati russi catturati nella regione di Kursk (dagli ucraini) sono stati restituiti dai territori controllati dal regime di Kiev” e “in cambio, 103 soldati ucraini prigionieri sono stati consegnati”.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha approvato la vendita di decine di aerei da combattimento F-35 alla Romania. Il valore dell’intesa è di 7,2 miliardi di dollari.
L’annuncio del contratto è arrivato mentre i piloti ucraini hanno iniziato ad addestrarsi sugli F-16 presso un centro speciale nel Paese Nato che occupa una posizione strategica alle porte dell’Ucraina e del Mar Nero.


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