L’abbiamo sempre cercato, voluto, corteggiato. E poi temuto, allontanato, anche un po’ deriso. L’Uomo Forte, il salvatore della Patria, quello che “gli altri non possono farcela, non sono adatti, andiamo a cercare lui…”. Fa parte della nostra storia, ne siamo sempre stati affascinati, salvo poi scoprire che forse non fa per noi, che il nostro è un Paese per gente che dialoga, che media, che trova un accordo. Che poi così forte non è. Abbiamo fatto lo stesso anche con Mario Draghi, SuperMario, il leader del Governo dei Migliori, che pian piano si sta consumando fino all’eutanasia, tra una trattativa infinita, una corsa stizzita al Colle, un ritorno a Palazzo senza troppa voglia di esserci. È la politica, in fondo, che non accetta di buon grado cambiamenti di spartito. La liturgia è quella e va rispettata, non bisogna essere permalosi. Altrimenti si rischia di cadere nella banalità, di dare la colpa solo a Conte e ai suoi arzigogoli privi di apparente senso. Che sarà anche la causa scatenante, ma non può essere l’unica. Perchè se è vero che vacilla fino al rischio della caduta un “governo di unità nazionale”, voluto dal Capo dello Stato, con tutti i numeri a posto, allora vuol dire che gli errori non sono ascrivibili ad una parte sola. Ed è strano che non far quadrare i conti, alla fine, succeda proprio ad uno che coi numeri ha flirtato per una vita, facendone il tratto distintivo di una carriera difficilmente imitabile. Il paradigma dell’Uomo Forte, che stavolta forse non ci salverà.