Economia

La spia e il manager, Pechino e la guerra economica

di Giovanni Vasso -

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La spia e il manager: a Pechino si ritroveranno tra le sbarre di un penitenziario. Non è un romanzo alla Ken Follett ma l’ultimo (duplice) caso giudiziario che si sta consumando in Cina. Due episodi slegati tra loro. In apparenza. In realtà, invece, dimostrano quanto la tensione internazionale sia alta e come lo scontro tra Occidente e Pechino si stia giocando sui temi che davvero contano. E cioè la tecnologia e l’economia.

Di giorno consulente per un’importante azienda cinese, di notte spia per l’MI6. Pechino ha annunciato l’arresto di un cittadino di nome Huang accusato di aver cooperato a un’operazione di intelligence con i servizi britannici. Secondo quanto riporta il Global Times, citando il Ministero cinese per la Sicurezza dello Stato, la presunta spia avrebbe passato ai funzionari di Sua Maestà informazioni sensibili fin dal 2015 impegnandosi, contestualmente, a reclutare nuovi agenti o, comunque, a ricercare altre persone che potessero dargli una mano coi suoi scopi.

Il presunto 007, inoltre, stando a quanto hanno riferito fonti ministeriali cinesi, sarebbe stato adeguatamente formato in Inghilterra e avrebbe ricevuto dai servizi britannici sofisticate apparecchiature utili alla comunicazione riservata. Insomma, ci sarebbe coinvolto anche Q nel nuovo capitolo di tensioni tra Londra e Pechino. La Cina, però, rivendica di aver agito nel pieno della legalità e del diritto internazionale. E ha riferito di aver comunicato tempestivamente alle autorità consolari britanniche sull’esito dell’indagine e sulle misure penali che le autorità cinesi hanno ritenuto il caso di dover assumere sullo strano caso del signor Huang. Ammesso, e non concesso, che si chiami davvero così.

E poi c’è il caso del manager che è finito in manette. Si tratta di uno che, in altri tempi, si sarebbe definito (a ragione) un pezzo da novanta. Liu Yongzhou, già capo assoluto della divisione auto elettriche del colosso immobiliare Evergrande, sarebbe in stato d’arresto. Lo ha riferito, in una nota, proprio l’azienda. “Abbiamo appreso che il direttore esecutivo Liu Yongzhou è in stato di detenzione”, ha riferito Evergrande allegando alla nota indirizzata alle autorità regolatrici della Borsa di Hong Kong presso cui è quotata, accuse non meglio specificate di “vari crimini” a carico del suo ex dirigente. Tutta benzina sul fuoco del colosso dai piedi d’argilla di Evergrande. La notizia ha immediatamente portato al profondo rosso nelle quotazioni azionarie e a un altrettanto immediato stop alle contrattazioni. Gli stock hanno fatto registrare, in pochissime ore, perdite a doppia cifra. Ma la situazione di Evergrande, schiacciata da un default mostruoso valutato in circa 330 miliardi di dollari (una somma pari a quasi il doppio del valore del Pnrr italiano, per intenderci), vacilla ancora di più. E, appresso a Evergrande, la crisi immobiliare delle grandi aziendi cinesi rischia di trascinare a fondo l’economia del Dragone.

La spia e il manager, dunque, sono due facce della stessa medaglia. Che, per inciso, è quella dell’economia cinese. Lo scontro è accesissimo e l’anno si apre così come si è concluso quello che l’ha preceduto. Nel segno di una contrapposizione globale che non accenna a placarsi.


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