Spettro di una dama al Castello di Gioia del Colle
Ottanta, solo quest’anno, le vittime di femminicidio, cinquanta delle quali uccise per mano di partner o ex partner: la violenza di genere continua ad essere un crimine difficile da debellare. La causa va ricercata nei retaggi di un patriarcato che, fino al secolo scorso, ha permeato la nostra cultura e le nostre leggi, identificando la virilità nel modello di uomo forte, autoritario, naturalmente destinato a possedere e comandare le donne, relegate al ruolo di mogli e madri, incapaci di azioni indipendenti ed utilizzate come pedine verso il matrimonio più conveniente. Illustri testimonianze di questo modus vivendi sono rinvenibili in epoca medievale, in particolare, in luoghi che hanno fatto da teatro a tragici eventi come il castello di Gioia del Colle, situato sull’altopiano delle Murge, nel barese, dove si consumò il dramma di Bianca Lancia: la “sposa bambina”. Scelto da Pierpaolo Pasolini per le scene del film Il Vangelo secondo Matteo lo splendido maniero normanno-svevo, attualmente sede della biblioteca comunale e del Museo Archeologico Nazionale, è avvolto dalla leggenda secondo cui, nelle gelide notti di luna piena, dalle sue segrete si odono i tenui lamenti della sfortunata amante di Federico II, il cui spettro a distanza di secoli proclama la propria innocenza. Tutto ebbe inizio intorno al 1225, quando in un viaggio di ricognizione al Nord, lo sguardo del sovrano incrociò quello della bellissima figlia quindicenne del conte di Agliano. L’imperatore fingendosi vedovo, chiese alla fanciulla di seguirlo al Sud in veste ufficiale di imperatrice: in seguito, la donzella dovrà scontrarsi con la realtà, poiché lo svevo in quel periodo era sposato con Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme. Non potendo legittimare l’unione, i due portarono avanti una relazione generando tre figli: Costanza, Manfredi e Violante. Benché le mire politiche portarono l’imperatore a sposare diverse donne, fu Bianca il suo unico amore che, tuttavia, sposò solo in articulo mortis. Una folle gelosia, dettata dal dubbio su una gravidanza della dama, lo spinse a rinchiuderla nella torre del castello di Gioia del Colle, la “Torre dell’imperatrice”, dalla quale la giovane, in preda alla solitudine e alle sofferenze fisiche dovute alla gestazione, dopo la nascita del figlio Manfredi si tagliò i seni e li inviò su un vassoio a Federico insieme al neonato, per poi gettarsi nel vuoto. L’incredibile somiglianza del figlio al padre smentirà ogni dubbio sulla paternità, confermando che, in ogni tempo, il sospetto d’infedeltà e l’insicurezza abbiano reso ciechi e irrazionali gli uomini, perfino gli imperatori.
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