Attualità

“Spazi per la famiglia, bambini e genitori”: Lia Calloni racconta il lavoro di Gaia Family Hub

di Angelo Vitale -

Al centro, Lia Calloni


In anni in cui il concetto della famiglia si è evoluto nella società divenendo anche terreno di scontro, più che di confronto, serviva il festival Ensemble, che nei giorni scorsi ha portato a Milano in primo piano il tema della “genitorialità senza filtri”.

Una necessità, trasformando l’hub Stecca3 in uno spazio di incontro per creare consapevolezza, promuovere il cambiamento nella narrazione del concetto di famiglia e di genitore e invitare ad una ampia riflessione non più in una prospettiva di singolo o coppia, ma di persone componenti di una comunità. Un villaggio in cui entrare senza pregiudizi e preconcetti, un luogo fisico ma anche metaforico, laboratorio per ampliare la comunità creatasi attorno al podcast “Grembo, racconti di pancia” creato da Anna Acquistapace, di cui Ensemble è divenuto, a sua volta, “figlio”.

Giornate per parlare di genitorialità oltre le aspettative sociali stereotipate sul ruolo tradizionale dei genitori, una rilettura delle loro figure in una visione aperta alle differenti espressioni e scelte di vita. Con la famiglia che non è più solo una “costruzione sociale”, ma la possibilità di vivere relazione, socialità e affetti in una visione di comunità. Tenendo a mente l’espressione “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” che proviene dell’originario “omwana takulila nju emoi”, “un bambino non cresce solo in un’unica casa” del gruppo Bunyoro in Uganda.

Tra i temi che ostacolano una genitorialità consapevole, la ricerca dell’equilibrio tra vita privata e lavoro, al cui interno costruire i modi più giusti per vivere il tempo libero con i propri figli.

Argomenti da anni al centro della ricerca e del lavoro di Lia Calloni, una delle fondatrici di Gaia Family Hub. Un passato, prima della sue maternità (ha oggi tre figli), di ingegnere industriale nel settore dell’automotive. Un presente, nel quotidiano che contempera ogni volta l’equilibrio tra lavoro e famiglia, che è un impegno a individuare le soluzioni ad un unico grande problema. Quello derivante dall’aver verificato come, indipendentemente dalle strategie pubbliche e private che affrontano la progettazione di spazi ove sia prevista la presenza contemporanea di adulti e bambini, “l’esito finale – spiega – è respingente invece di essere accogliente ed inclusivo, senza una pari attenzione alle esigenze di entrambe le categorie”. Un problema “di sistema” dell’attuale nostra società, che non vede l’infanzia come una risorsa di cui la collettività ha la responsabilità distribuita, ma come un peso in carico alle sole famiglie.

E così, mentre l’evoluzione pedagogica ha proceduto finora a passi da gigante, paradossalmente colta più rapidamente dalle giovani generazioni di genitori che, per esempio, dal mondo della scuola, “nessuna attenzione viene riservata ai bisogni di bambini che, da 0 ad almeno 10 anni, vivono una fase di crescita senza avere più neanche i tradizionali punti di riferimento dei decenni scorsi, nonni ancora presenti e genitori più liberi o addirittura madri casalinghe completamente a loro dedicate”.

Bisogni e ritmi senza risposte, in un “mondo esterno” che non predispone situazioni utili. Un gap enorme che influisce sul loro sviluppo, nonostante la presenza dei genitori. Quasi un mondo che “non vede i bambini”.

Luoghi da trasformare, allora. “Spazi a misura”, si è spesso detto. Senza però prevedere, tiene a precisare Calloni, che essi non devono essere un recinto di sosta solo per loro ma devono considerare il contemporaneo “star bene” dei genitori. Spazi esterni, come quelli per esempio dei ristoranti, ove – come sta avvenendo nel Mare Culturale Urbano di Cascina Torrette a Milano – “l’ambiente è stato progettato intorno alle famiglie, con laboratori permanenti e tante attività per i piccoli ma anche per i grandi, con momenti di convivialità e di formazione”. Una qualità della vita, nel tempo libero, per genitori e figli.

Iniziative che possono essere replicate “con poco – dice Calloni – negli spazi urbani, nei quartieri, arrivando a una sorta di centri sociali per l’infanzia che facciano rete, localmente. Ove l’urbanistica comprenda i bisogni di grandi e piccoli e in ogni luogo garantisca risposte adeguate a tutti loro. Non soltanto le classiche aree gioco, ove i genitori si riducono ad essere accompagnatori e custodi dei loro figli”.

Un metodo di intervento che, ovviamente, necessita di una contemporanea trasformazione del mondo dell’occupazione, con più flessibilità e meno impegno orario. Soluzioni che costituiscono esse stesse “un valore, principalmente economico, come forse la sfera privata della società sta comprendendo più rapidamente di quella pubblica”.


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