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SPAGHETTI GATE 

di Giovanni Vasso -


Scende il prezzo del grano, sale quello della pasta e scoppia la polemica degli spaghetti. Il Ministero del Made in Italy convoca la Commissione prezzi e i consumatori sparano a palle incatenate contro i produttori che, a loro volta, spiegano le ragioni dei rincari, rintracciandole negli aumenti di energia e trasporto e nei prezzi, spropositati, che si pagavano nei mesi scorsi per le materie prime.
Le associazioni danno i numeri dei rincari. L’Unione nazionale dei Consumatori spiega che il prezzo della pasta, sia fresca che secca, sta salendo “ininterrottamente da giugno 2021 e da allora a marzo 2023 sono rincarati del 37%”. Contestualmente, affermano da Unc citando i dati Ismea, “il frumento duro nazionale da aprile ’22 allo stesso mese di quest’anno è sceso del 28,3% mentre quello extra Ue addirittura del 34,4%”. Per Assoutenti, “il prezzo della pasta arriva fino a 2,44 euro al chilo, con rincari medi del 25,3% nelle principali città italiane”. Sono pochi i territori italiani in cui la pasta costa ancora meno di due euro al kg. La Toscana detiene il primato dei rincari anche se è la città in cui si paga di più è la marchigiana Ancona. Qui, per Assoutenti, “un chilo di pasta costava in media a marzo 2,44 euro (Modena 2,41 euro/kg, Cagliari 2,40 euro/kg, Bologna 2,39 euro/kg, Genova 2,38 euro al kg), e solo in 12 province i listini di spaghetti, rigatoni, penne risultavano inferiori ai 2 euro al kg.”. Il Codacons è pronto a fare ricorso all’Antitrust: “L’Istat, nel dato sull’inflazione di marzo, registra rincari medi per la pasta del 18,2% rispetto allo scorso anno, con ricadute pari in media a +25,5 euro annui a famiglia. Aumenti dei listini che, tuttavia, non sarebbero giustificati dall’andamento delle quotazioni del grano. È necessario quindi – spiega il presidente Carlo Rienzi – verificare cosa, nello specifico, determina incrementi così forti dei listini, e se vi siano anomalie sul mercato tese a mantenere elevati i prezzi al dettaglio di un prodotto molto presente sulle tavole degli italiani, al punto che ogni cittadino consuma circa 23 chili di pasta all’anno”.
Di fronte al fuoco di fila dei consumi, il governo non ha potuto fare altro che convocare la Commissione di allerta rapida, tanto rapida che si riunirà poco meno di una settimana, l’11 maggio prossimo. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha investito il garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, della convocazione che dovrà “analizzare la dinamica del prezzo della pasta che nel mese di marzo ha fatto registrare un aumento del 17,5% rispetto all’anno precedente in un contesto caratterizzato dalla riduzione del prezzo della materia prima e dalle dinamiche variabili dei costi dell’energia e degli altri fattori di produzione”. Ad applaudire la scelta del governo ci sono anche gli agricoltori. Coldiretti, in una lunga nota, ha spiegato che se speculazione c’è, sicuramente questa non arriva dai produttori: “Il grano duro per la pasta viene pagato in Italia circa 36 centesimi al chilo ad un valore che non copre i costi di produzione ed è inferiore di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo scorso anno mentre il prezzo della pasta è aumentato il doppio dell’inflazione”. Per Coldiretti si tratta di “una distorsione che appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo che secondo l’Osservatorio del ministero del Made in Italy variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi in tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo”.

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