Sonila, la squillo che si ribellò al clan e fu trovata morta
Sonila era una bella ragazza di 21 anni che colpiva perché i suoi occhi verde smeraldo comunicavano sempre un velo di tristezza. Ai genitori, cui telefonò poche ore prima che venisse trovata morta nel bagno del piccolo appartamento preso in affitto dal marito, parlò come tutti i giorni, informandoli del figlioletto di 2 anni che stava giocando, però nascondendo loro che nel Belpaese, a Torino, da tempo ormai faceva la prostituta «indoor» e subiva periodiche vessazioni e umiliazioni perché con quel mondo avrebbe voluto darci un taglio. Ma quello stesso pomeriggio, era il 21 marzo 2021, il marito Kreshnik Cani la trovò morta nel bagno, apparentemente suicidatasi per impiccagione, in via Pianezza. A meno di quattro anni dalla tragedia, partendo da una rapina commessa da due fratelli albanesi e una donna sempre nel capoluogo piemontese nel maggio 2022, il Tribunale ha emesso cinque misure cautelari. Tre ordini nei confronti di cittadini albanesi che sono stati condotti in carcere dagli agenti della Squadra Mobile di Torino con le accuse a vario titolo di rapina, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, oltre al presunto favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre due cittadini italiani sono stati colpiti dal divieto di dimora nel Comune metropolitano. La piattaforma cittadina dello sfruttamento delle prostitute albanesi in appartamenti di comodo presi in affitto da prestanome erano nei quartieri Barriera Nizza e Madonna di Campagna. Le ragazze sarebbero state costrette a vendere il proprio corpo anche quando erano in condizioni di salute precaria. Anche Sonila, a sentire il racconto dei testimoni, sarebbe stata obbligata a sottoporsi alle umiliazioni di chi viene reclutato in Albania con la promessa di un futuro migliore, ma che nel suo caso si era trasformato in un inferno per soddisfare le voglie della clientela italiana. Adesso la mamma di Sonila chiede “la verità sulla morte di mia figlia”, perché soltanto dopo la sua morte avrebbe saputo quale fosse il suo vero mestiere. Il Pm Valentina Serraroli, che coordina le indagini della Polizia, sospetta che la ragazza sia stata spinta a suicidarsi perché viveva in uno stato di profonda prostrazione psicologica. “Mia figlia era una bellissima ragazza gentile, molto brava a scuola perché le piaceva studiare, ma non potevamo permettercelo – racconta la madre ai giornalisti che l’hanno sentita e che periodicamente raggiunge Torino in pullman per far visita al nipotino, ancora ignaro del fatto che non potrà mai più vedere la mamma – perciò decise di venire in Italia perché guardava la vostra televisione ed era il suo sogno. Dopo la sua morte ho saputo come viveva e per questo chiedo alle autorità di scoprire la verità”. La giovane era immigrata in Italia ancora da minorenne per essere subito avviata al mestiere più vecchio del mondo. Non sarà facile per la Procura della Repubblica pervenire a un giudizio di presunta responsabilità per l’istigazione al suicidio di Sonila, ma il quadre che emerge dal paziente lavoro della Squadra Mobile racconta di una disperazione che si impadronisce di tante ragazze che sono sfruttate dalla criminalità albanese. Epperò Sonila ogni giorno faceva video chiamate ai genitori per informarli del suo bambino e per raccontare loro bugie sulla propria esistenza, per schermare la verità della prostituzione eretta a un mestiere che centrifuga lauti profitti grazie al corpo femminile di un esercito che viene periodicamente rinfoltito. Il Giudice che ha firmato le ordinanze ritiene che il marito della vittima non sia credibile e che desta molte perplessità la sparizione del suo telefonino dal quale si sarebbero potute ricavare preziose informazioni. Eppure quando i poliziotti eseguirono l’ispezione nel teatro della tragedia Sono sedici le persone complessivamente indagate dai poliziotti del Commissariato Dora Vanchiglia, tra cui appunto il marito di Sonila, sospettato di averla spinta a prostituirsi, ma non a suicidarsi. Tra gli indagati anche alcuni italiani che avrebbero messo a disposizione gli appartamenti, affittati ai magnaccia per potervi collocare le squillo dove ricevevano “indoor” la clientela. Insomma, le vittime, tutte giovani albanesi reclutate a volte minorenni come Sonila, secondo la polizia “subivano continue vessazioni fisiche e psicologiche, ed erano obbligate a consegnare il guadagno ai propri sfruttatori perché versavano in condizioni di totale assoggettamento”. Anche attraverso legami sentimentali manipolati da uomini privi di scrupoli.
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