Sinner, squalifica equa per una colpa del team avvenuta a sua insaputa
Il patteggiamento della squalifica di 3 mesi accettato da Jannik Sinner per doping inconsapevole va sgomberato dalle questioni metasportive – nelle ultime 48 ore se ne sono letti fin troppi di giudizi strampalati, anche per bocca di autorità dello sport italiano che hanno buttato la pallina fuori dal campo ricorrendo all’armamentario retorico anziché attenersi ai fatti -, per essere ricondotto nell’unico alveo accettabile: quello giuridico. Vale a dire che se un atleta viola anche senza alcun dolo, come nel caso del fuoriclasse azzurro chiamato a rispondere di una colpa lieve, le severe norme antidoping che egli ha accettato quando è diventato professionista, facendosi impallinare dalla Wada perché la sua squadra nella fattispecie si è comportata come una banda di dilettanti allo sbaraglio, deve inevitabilmente pagare. Nel rispetto di tutti gli avversari che lavorano lealmente e secondo il principio che chi sbaglia dev’essere sanzionato. Lo scorso 30 dicembre L’identità anticipava la probabile conclusione del procedimento davanti al Tas, facendo intuire che il patteggiamento sarebbe stata la strada preferibile per entrambe le parti. Del resto, che Jannik non avesse alcuna intenzione di barare è pacifico. Com’è oggettivo che nel suo sangue le analisi svolte quasi un anno fa negli Stati Uniti avevano cristallizzato la presenza del Clostebol, uno steroide anabolizzante vietatissimo, che com’è ormai risaputo il suo ex fisioterapista Giacomo Naldi aveva assunto con una pomata per facilitare la cura di una lieve ferita a un dito e che inavvertitamente aveva contagiato il numero 1 del tennis mondiale attraverso un massaggio. Dunque, l’assunzione del doping da parte di Sinner è stata inconsapevole a causa della negligenza patente del team di cui però è oggettivamente responsabile. È stato sulla base di questi presupposti che gli avvocati di Jannik, dopo il ricorso della Wada contro l’iniziale proscioglimento del nostro campione da parte dell’Itia – sentenza peraltro emessa da un collegio di medici (un’evidente anomalia) a digiuno della giurisprudenza del Tas – che una volta impugnata dalla Wada, non poteva che portare ogni oltre ragionevole dubbio alla probabile squalifica di Sinner. “La ritengo la scelta più conveniente per entrambe le parti in causa – analizza l’ex giudice del Tas di Losanna, Angelo Cascella, avvocato esperto di diritto dello sport – C’è sempre un’alea in ogni giudizio e, con questo accordo, alla Wada viene riconosciuta la legittimità nell’appello, mentre Sinner di fatto riceve una sanzione tutto sommato inferiore a quella che avrebbe potuto subire ove il processo avesse portato alla pronuncia di un lodo”. Il re italiano del tennis non subisce l’annullamento di alcun risultato né patisce alcun danno economico diretto. Il suo avvocato Jamie Singer, dello studio legale Onside Law di Londra, con serenità sottolinea che “la Wada ha confermato i fatti stabiliti dal Tribunale indipendente. È chiaro che Jannik non aveva intenzione di alterare alcun risultato sportivo, né che fosse a conoscenza del comportamento del suo team, tanto che non ha ottenuto alcun vantaggio competitivo. Purtroppo, gli errori commessi dai membri della sua squadra hanno portato a questa situazione”. Sono le stesse parole usate qualche settimana prima dall’avvocato Cascella nella nostra intervista, quando sottolineava che la modica quantità di Clostebol rinvenuta nel sangue di Sinner “non c’entrava nulla con l’eventuale squalifica perché al tennista non è contestata la mala fede, che in quel caso avrebbe portato a una potenziale squalifica di 4 anni, ma la mancata attenzione nei confronti del suo team”, il quale lo ha dopato senza rendersi conto del grave danno che gli stava procurando. Parlare di “vergognosa ingiustizia”, per la squalifica sottoscritta dal campione, come fa il presidente della Federazione italiana tennis e padel, Angelo Binaghi, è francamente sorprendente e sgradevole perché non fa il bene dello sport. Poiché l’errore oggettivo del campione è risultato patente, ripetiamo quello di non avere vigilato sulla correttezza del suo team tanto che il Clostebol è stato rinvenuto nel suo sangue seppur in dosi infinitesimali, il verdetto patteggiato è in linea con la squalifica di un mese inflitta di recente alla tennista polacca Iga Swiatek, cui era stata trovata nel sangue la lieve quantità di una sostanza dopante (la trimetazidina a base di melatonina) assunta per il fuso orario. In conclusione, il 4 maggio Jannik tornerà in campo, alla ricerca del tempo (poco) perduto.
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