Paolo GENTILONI Giancarlo GIORGETTI (Minister for Economic Affairs and Finance, Italy)
Si scrive Patto di stabilità, si legge campagna elettorale. La gran disfida è già iniziata. Le elezioni europee di giugno prossimo incombono. E mentre i partiti iniziano ad affastellare le liste e qualche candidato già comincia a fare incetta di spazi pubblicitari, ai più alti livelli istituzionali la sfida si gioca sui temi caldi, anzi caldissimi. Il Patto di stabilità, per esempio. Il braccio di ferro è già iniziato. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, solitamente sobrio e misuratissimo quando c’è da parlare d’Ue, ha sparato a palle incatenate contro Bruxelles. E lo ha fatto parlando a un convegno dedicato al ruolo degli enti locali in chiave europea: “Io vedo in questo momento una pericolosissima involuzione burocratica a livello europeo, una specie di bolla incapace di dare risposte ai problemi nuovi posti dalle sfide globali”. Una frase basta a svelare che il re, o meglio, la Commissione e il sistema istituzionale comunitario, non solo è nudo ma imbelle, impotente e in balia degli eventi.
Ma Giancarlo Giorgetti, che non è certo un temerario garibaldino ma, al contrario, un politico navigato e aduso a misurare i suoi interventi, motiva la sua profonda critica all’attuale stato di cose in casa Ue. E lo fa partendo da uno dei temi più delicati del dibattito pubblico, cioè quello delle infrastrutture italiane: “Sicuramente è un problema finanziario – ha spiegato il titolare del Mef – ma non possiamo dimenticare il problema dei vincoli di bilancio anche in termini di infrastrutture, perché se le regole che ci siamo messi a livello europeo penalizzano gli investimenti, li considerano come una spesa da limitare, da censurare diventa molto difficile non solo realizzare le opere, ma competere a livello globale nella transizione energetica e quant’altro”. Scacco matto ai rigoristi. Che, a furia di demonizzare debito e spese, hanno finito per congelare lo sviluppo e la visione a lungo termine del futuro dell’Europa. Tra le righe, un messaggio neanche troppo velato a Berlino e ai suoi soci “frugali” che tirano i cordoni della borsa in vista del nuovo Patto di stabilità. La Germania, che ispira falchi e Savonarola del debito, non ne vuol sapere di allentare la morsa. E nemmeno di concedere che, fuori dai termini del Patto, ci siano i fondi spesi per spese militari (leggi Ucraina) e per le infrastrutture (cioè il Pnrr). Insomma, lascia intendere Giorgetti, se l’Europa continua a mostrarsi così arcigna, non c’è da attendersi grandi cose per il futuro. Non solo dell’Italia, ma di tutto il Vecchio Continente.
Ma a Bruxelles, evidentemente, non la pensano così. Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia, ha fiducia nei funzionari comunitari. L’importante è dire di sì. Poi si vedrà. A “In mezz’ora” su Raitre, Gentiloni, a proposito del Patto di Stabilità che verrà, ha dichiarato: “L’obiettivo che tutti si debbono porre è di raggiungere nelle prossime settimane un’intesa almeno politica sulle nuove regole di bilancio”. In pratica, ha suggerito, cerchiamo di essere tutti sulla stessa linea. Possibilmente, quella della Germania. Poi, non c’è da affidarsi alla divina provvidenza ma alla magnanimità dei burocrati brussellesi. Come le vie del Signore sono infinite, infinita è pure, secondo Gentiloni “la creatività per creare o immaginare periodi transitori negli uffici di Bruxelles”. Il commissario ha un compito che non è certo invidiabile. Deve, dal punto di vista politico, ottenere dal governo italiano il via libera a un nuovo Patto di Stabilità che, per il momento, scontenta tutti. Così facendo, con la promessa di un periodo di transizione, di liberi tutti, inchioderebbe il centrodestra alla responsabilità, condivisa con il Pd, di aver accettato uno strumento che, in fondo, non sembra soddisfare le necessità di un Paese che è sì iper-indebitato ma che ha bisogno urgente di spendere, di investire se non vuole perdere l’ultima chiamata per la competitività, tentando di dare una scossa a un’economia che vacilla pericolosamente. Gentiloni, da buon commissario Ue, insieme alla carotina della proroga evoca il bastone del giudizio sulla manovra. Arriverà il 21 novembre, subito dopo quello delle altre due agenzie di rating che mancano all’appello, Moody’s e Fitch. Si scrive patto di stabilità, si legge campagna elettorale.