PRIMA PAGINA-Si scrive Giorgia, si legge nuova Ue
“Creare una maggioranza che metta insieme le forze di centrodestra e mandare finalmente all’opposizione la sinistra anche in Europa”: è questo l’obiettivo dichiarato di Giorgia Meloni che, scendendo in campo in prima persona in tutte le circoscrizioni, conferma la volontà di fare il pieno di voti alle elezioni europee. Il presidente del Consiglio conta dunque sul contributo dell’Italia per spostare l’asse degli equilibri europei verso destra, così da archiviare l’esperienza della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, esponente del Ppe eletta alla guida dell’esecutivo Ue solamente grazie a un’intesa con il Pse. Ed è proprio sterilizzare i socialisti l’ambizione della Meloni che è anche la leader dei Conservatori europei, i quali non vedono l’ora di conquistare terreno e diventare decisivi negli assetti politici comunitari. Non c’è dubbio che il Ppe sarà ancora una volta decisivo per la scelta del prossimo numero uno della Commissione, ma è altrettanto evidente la volontà del centrodestra di affrancarsi dall’influenza del Pse e di mirare a uno schema senza una maggioranza trasversale come quella attuale. Lo stesso Ppe, infatti, per la premier italiana non è esente da responsabilità per quanto riguarda l’appoggio ad alcune “scelte ideologiche che venivano dettate dall’agenda progressista” sostenute, convintamente o obtorto collo, dalla cospicua maggioranza moderata del Parlamento europeo. Non a caso l’inquilina di Palazzo Chigi ha puntato il dito contro la direttiva che prevede lo stop alla vendita delle auto diesel e benzina dal 2035 definendola una “follia ideologica”, al pari delle case green, figlie di un’idea “pensata malissimo da burocrati chiusi nei palazzi di vetro”.
Ma quella dell’indipendenza politica dai socialisti non è una velleità esclusivamente della Meloni, perché pure una fetta considerevole del Ppe vorrebbe smarcarsi dall’intesa con la sinistra, anche alla luce degli ultimi cinque anni che sono stati abbastanza accidentati. Non è infatti un mistero che fin dall’inizio del suo mandato Ursula von der Leyen ha avuto non poche difficoltà. La sua designazione ai vertici della massima istituzione europea è avvenuta con appena nove voti di scarto rispetto alla maggioranza assoluta di 374 voti, il quorum necessario per l’elezione alla presidenza della Commissione Ue. Senza contare che l’ultimo congresso del Ppe è stato animato da una forte dialettica interna che ha coinvolto anche l’esponente della Cdu tedesca. Non è poi di poco conto la circostanza per la quale tra i vicepresidenti del Ppe figura anche il vicepremier Antonio Tajani, anch’egli candidato alle prossime europee, per il quale sarà difficile discostarsi dalla linea di Giorgia Meloni. Sebbene il centrodestra italiano consideri come una ricchezza le differenze tra i singoli partiti della coalizione e nonostante nella sfida delle europee ognuno cercherà di ottenere il maggior numero possibile di consensi, anche provando a rosicchiare qualcosa agli alleati, mantenere linee politiche differenti sugli assetti e l’agenda programmatica dell’Europa dei prossimi cinque anni sarebbe certamente controproducente. Tanto più essendo insieme al governo in Italia e puntando a un’alleanza anche in Ue.
La sfida, quindi, sarà tutta contro un Pd che non sembra navigare in buone acque, con una Schlein costretta dallo stesso partito del quale è segretaria a candidarsi solamente in due circoscrizioni. Difficile reggere il confronto con un competitor che, forte del sostegno del suo partito, ha invitato gli elettori a scrivere sulla scheda elettorale solamente “Giorgia”. Una trovata in pieno stile berlusconiano che dà il polso di come la Meloni, con buona pace di chi ha vissuto questa uscita come fumo negli occhi, voglia e possa parlare direttamente ai cittadini, presumibilmente consapevole dei rischi che si annidano dietro questa sovraesposizione. Certamente, meglio azzardare che essere relegati all’irrilevanza, soprattutto se per mano del proprio partito.
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