di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
L’educazione sessuale è, ed è sempre stata, un argomento delicato. Le divergenze riguardano quasi ogni suo aspetto: cosa insegnare e a quale età, quale ruolo affidare alle scuole e ai genitori, quali le modalità di insegnamento. Il quadro d’insieme più autorevole su questo tema viene offerto dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’educazione sessuale viene inquadrata in una prospettiva “olistica”, nel senso che prevede l’apprendimento degli aspetti cognitivi, emotivi, sociali, interattivi e fisici della sessualità. Non si tratta, cioè, di una problematica del comportamento umano che possa essere “spacchettata”, per così dire, nelle sue varie componenti. Deve, invece, essere affrontata secondo una prospettiva d’insieme, in modo da contribuire a sviluppare atteggiamenti rispettosi ed aperti, tali da favorire la costruzione di società eque. C’è, inoltre, un altro aspetto presente nelle linee guida che merita di essere sottolineato. Occorre evitare, quando si affronta l’argomento, di concentrare unicamente l’attenzione sui potenziali rischi della sessualità, come le gravidanze indesiderate e le infezioni sessualmente trasmesse, perché ciò trasmette un messaggio di paura. Il che, oltre a essere di scarsa rilevanza per bambine/i e ragazze/i e, non risponde al loro bisogno di essere informate/i e di acquisire competenze. Si tratta, piuttosto, di promuovere comportamenti corretti che consentano di vivere la vita di coppia adolescenziale e poi adulta in maniera appagante e responsabile. Eppure, nonostante queste raccomandazioni – che, verrebbe da dire, sono semplicemente di buon senso – nel nostro Paese l’educazione sessuale, se e quando viene impartita, è da sempre lasciata all’iniziativa dei docenti e organizzata dai consultori. Nonostante decenni di proposte per introdurne l’insegnamento in classe, non è mai stata emanata una legge in materia.
La situazione in Europa è invece molto diversa. L’educazione sessuale viene impartita in modo interdisciplinare e risulta articolata nelle diverse materie, come raccomandato dalle norme dell’OMS per l’educazione sessuale, piuttosto che in una lezione specifica. Gli aspetti dell’educazione sessuale sono insegnati nell’ambito di alcune lezioni in circa la metà degli Stati membri dell’Unione (Austria, Croazia, Cipro, Finlandia, Francia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Malta, Portogallo, Slovacchia e Slovenia). In questi Stati, i diversi aspetti dell’educazione sessuale possono essere trattati nelle materie di volta in volta pertinenti, come biologia, studi etici e religiosi, educazione alla cittadinanza, studi ambientali e corsi più ampi di educazione sanitaria. Ad esempio, in Croazia l’educazione sessuale è spesso inclusa nelle lezioni di biologia e di studi religiosi, mentre in Lussemburgo l’argomento è distribuito tra lezioni di cittadinanza, biologia e religione, a seconda dell’aspetto in discussione.
Vale la pena notare che nella maggior parte dei Paesi in cui l’educazione sessuale si concentra su elementi biologici e di prevenzione dei rischi, essa non è una materia obbligatoria (Bulgaria, Croazia, Italia, Lituania e Romania). In alcuni altri Stati membri, l’educazione sessuale viene insegnata in modo più esplicito e deliberato come un filone interdisciplinare di apprendimento, a cui sono tenuti tutti gli insegnanti di tutte le materie, così da coprire i vari aspetti man mano che diventano rilevanti (Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Lettonia, Paesi Bassi e Svezia). Ciò in genere si verifica quando i singoli governi nazionali non fissano uno specifico curriculum, ma stabiliscono invece obiettivi che le scuole e gli insegnanti sono tenuti a soddisfare (Belgio, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi). Il modo in cui viene erogata viene demandato in ampia misura alle autorità regionali e alle scuole perché, come per altri programmi di studio, in molti Stati membri dell’UE il modo in cui l’educazione sessuale viene attuata è a discrezione dei governi locali, delle scuole e dei singoli insegnanti, secondo livelli differenziati di coinvolgimento nazionale. In Germania, ad esempio, le autorità federali stabiliscono un quadro di educazione sessuale, che può essere interpretato in modo diverso nei diversi Länder. Ciò significa che la durata del tempo dedicato all’educazione sessuale, gli argomenti trattati e il modo in cui viene integrata nelle lezioni possono variare in misura considerevole.
Certo, non mancano Paesi, come la Polonia, dove l’opposizione diffusa contribuisce a disapplicarla, nonostante sia giuridicamente obbligatoria. Questa però non è una buona ragione per continuare a escludere i programmi di educazione sessuale dal curriculum scolastico come accade ancora oggi nel nostro Paese. Sarebbe importante colmare questa lacuna non solo per combattere le piaghe dell’abuso sessuale sui minori e la violenza di genere, contrastare gli stereotipi che generano sofferenze e discriminazioni, ma anche per favorire il reciproco rispetto tra le persone, la soluzione non violenta dei conflitti nel campo delle relazioni interpersonali, il diritto all’integrità personale, la tutela della diversità, il contrasto alle percezioni erronee e fuorvianti, l’acquisizione di corretti comportamenti relazionali e sociali. E c’è, infine, un ultimo fattore che dovrebbe spingere il legislatore a rendere l’educazione sessuale materia curricolare: solo la scuola può creare situazioni formative ed educative relative alla sessualità nell’epoca in cui smartphone, media e internet fanno passare informazioni distorte e confusive che certo non aiutano, ed è il minimo che si possa dire, a fare in modo, come afferma l’OMS, che bambine/i e ragazze/i acquisiscano “informazioni corrette, competenze e valori positivi allo scopo di comprendere la propria sessualità e goderne, intrattenere relazioni sicure e gratificanti, comportandosi responsabilmente rispetto a salute e benessere sessuale propri e altrui”.