Se si muore d’abitudine
Tommaso Cerno
di TOMMASO CERNO
La morte nel mare, di disperati alla ricerca di un mondo che non esiste, non può diventare un’abitudine. Eppure lo è ormai da vent’anni, dobbiamo dircelo, ci indigniamo tutte le volte senza renderci conto che ormai le carrette del mare sono qualcosa che fa parte del nostro quotidiano. Mentre la soluzione è lontana dall’arrivare, l’Europa dall’intervenire. E come abbiamo visto in Grecia l’Italia rimane la meta che chi fugge vuole raggiungere, una complicazione in più nel quadro già desolante del confine dell’Unione Europea sul Mediterraneo.
Il problema è che alla morte ci stiamo abituando non soltanto quando riguarda gente che viene da paesi lontani. Come è capitato con Ischia, anche l’Emilia è già uscita dalle prime pagine dei giornali, quei morti sono morti di pioggia, un altro fenomeno che come gli sbarchi illegali è considerata dall’immaginario collettivo qualcosa che può capitare. Quindi se capita, dobbiamo indignarci, ma ancora una volta non cambia nulla e adesso la cronaca ci mostra un altro lato della comunità italiana, che non credevamo esistesse, ma che rischiamo diventi la nuova emergenza.
La morte social. Nella versione drammatica del bimbo di 5 anni ucciso da una Lamborghini che ha speronato la sua Smart mentre cinque baldi giovanotti filmavano con i telefonini il loro video per YouTube che li avrebbe resi ancora più celebri. Cosa che di fatto è avvenuta, visto che uccidendo un bambino hanno raddoppiato i like sulla loro pagina. L’abbiamo chiamata assurda quella morte, ma tanto assurda non è, legata ai tempi di oggi, dispersa in quel mondo parallelo in cui vivono milioni di ragazzi con il telefonino in mano. E così 24 ore dopo scopriamo che per un filmato simile ci si butta in un fiume, per simulare un incidente, un rischio di annegamento, che poi come è stata la morte di quel bambino smettono ad un tratto di essere virtuali, di vivere sul nostro telefonino, diventano improvvisamente reali, e nessuno può più farci nulla. Perché nella vita non esiste il tasto Rewind.
A sfondo di tutto questo c’è una guerra che fa migliaia di morti e che consideriamo ormai parte della nostra quotidianità, tifosi della parte buona, secondo l’Occidente, ma pur sempre tifosi di una guerra. Il fatto è che non c’è nulla di assurdo in tutto questo. E’ molto probabile che questo sia l’orizzonte in cui vivremo per molti anni. Ed è molto probabile anche che adesso che le cronache hanno puntato il loro sguardo sulla morte nelle sue nuove accezioni scopriremo che tantissime persone sono ormai da tempo vittime di scenari simili, perché sono entrati nella nostra vita e noi non ce ne siamo interessati, perché in fondo il progresso non ha bisogno più dell’uomo, sa cavarsela da solo, artificialmente, dando a chi sopravvive quel senso di sicurezza immaginaria che serve a stare bene a casa propria.
Mentre si continua a morire sui gommoni, nelle strade di Roma perché qualcuno ha deciso di diventare un grande influencer sulla rete, o sul campo di battaglia perché non ci sono bastati due millenni di guerra per capire che la pace ad ogni costo è l’unica strada che ha l’uomo per riprendere in mano il progresso e decidere davvero da sé quale sia la strada per cercare di lasciare un pianeta che ancora respira.
Torna alle notizie in home