POLIZIA PENITENZIARIA
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GUARDIA CARCERARIA
CARCERE
PRIGIONE
POLIZIOTTA
CELLA DI DETENZIONE
DI ELISABETTA ALDROVANDI
Quando si parla di “mala Giustizia”, il pensiero corre a casi in cui si viene accusati di un reato e poi prosciolti, o quando si è rinviati a giudizio, processati e assolti. La giustizia, in realtà, non funziona male se indaga sull’accertamento di un reato, e la persona sottoposta alle indagini si difende, anche pagando l’assistenza legale.
Funziona male se adotta erroneamente provvedimenti che limitano la libertà personale, o se condanna in via definitiva per un reato che, solo in sèguito a revisione, si scopre non essere stato commesso, o non costituire un illecito penale, o per gli altri motivi in base ai quali si può essere assolti in base alla legge. Si tratta di errori che costano a chi li subisce e a chi li commette. Lo Stato, infatti, paga per riparare a questi sbagli. E i soldi provengono dalle nostre tasse.
Quante sono le persone vittime di ingiusta detenzione? Nel periodo tra il 1992 e il 31 dicembre 2021, si sono registrati 30.017 casi, ossia, mediamente, circa 1000 persone poste in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari all’anno. Il tutto, per una spesa superiore a 819 milioni e 272 mila euro, con una media di 27 milioni e 309.240 all’anno. A questi, vanno aggiunti quelli condannati erroneamente: anche in questo caso, i numeri sono impietosi. Dal 1991 al 31 dicembre 2021 sono state 30.231 le persone condannate per sbaglio, con una spesa per lo Stato di 895 milioni 308.275 euro, ossia 28 milioni e 880 mila euro all’anno. Nel 2021, complice la pandemia che ha sollecitato provvedimenti di scarcerazione per evitare il sovraffollamento carcerario, c’è stata una considerevole flessione di questi numeri, e gli indennizzi sono diminuiti di circa tre milioni di euro rispetto alla media. Ma si tratta comunque di cifre molto alte, che fanno a pugni con il generalizzato senso di ingiustizia che pervade la numerosa platea delle vittime di reato. Come è possibile sbagliare così spesso nelle condanne e al contempo condonare pene anche gravi a pericolosi criminali? È raro, infatti, che una persona vittima di un furto in casa o di un’aggressione, per non parlare dei familiari delle vittime di omicidio, dichiari soddisfazione in merito alla sentenza di condanna inflitta al colpevole. E questo, perché si ritiene la pena sproporzionata per difetto rispetto alla gravità del fatto commesso, perché non si ottiene nessun risarcimento, e perché in fase processuale e di esecuzione della pena il condannato può beneficiare di tutta una serie di riti alternativi e sconti che, a volte, vanificano la pena prevista dal codice penale. Il contrasto, dunque, tra i molteplici casi di mala giustizia, e gli altrettanto numerosi casi di una giustizia incapace di garantire un’effettiva riabilitazione e un concreto reinserimento post condanna, rende il quadro di un sistema giudiziario caratterizzato da elementi disfunzionali che richiedono correttivi urgenti e adeguati. Innanzitutto, servono maggiori risorse e investimenti, in termini di assunzione e formazione di personale, di acquisto di apparecchiature e strumenti efficienti, e di predisposizione di strutture in cui la giustizia possa essere esercitata nel rispetto dell’elevata funzione che le compete. Celebrare udienze in tribunali fatiscenti, svolgere il proprio lavoro in uffici vetusti coi muri scrostati o trattenere i detenuti in celle troppo piccole e senza acqua calda sconfessa il messaggio più importante: ossia, che per lo Stato il corretto esercizio della giustizia, dalla fase della denuncia a quella processuale per finire con l’esecuzione della condanna, sia un aspetto fondamentale di una società civile. Perché la forma è sostanza. Anche quando ci si deve difendere da un’accusa o scontare una pena, o si deve far valere un diritto.