Politica

Se la magistratura diventa causa dei suoi mali…

di Giuseppe Ariola -


Se oltre alla politica ci si mette anche la cronaca a porre seri dubbi sullo stato di salute della giustizia italiana siamo messi proprio male. Negli ultimi giorni la mannaia sull’operato della magistratura non è infatti stata calata dai palazzi romani del potere accusati dall’Anm, con la complicità di certi partiti di sinistra, di delegittimare l’operato delle toghe, bensì dalle stesse decisioni di alcuni giudici che potrebbero rivelarsi gravemente sbagliate. Parliamo dell’omicidio di Chiara Poggi per il quale è stato condannato Alberto Stasi che si è sempre dichiarato innocente, ma questo poco importa. Ciò che invece appare drasticamente rilevante è che l’intero impianto accusatorio nei confronti del fidanzato della vittima era esclusivamente indiziario, tanto che fino alla condanna a 16 anni di carcere Stasi è a lungo entrato e uscito dalle aule dei tribunali dove è stato giudicato a volte innocente e altre colpevole. Una circostanza generalmente fisiologica in un sistema che prevede più gradi di giudizio, ma eccezionalmente emblematica in un caso contornato da evidenti errori, rilievi tradivi e imprecisioni nelle indagini, come messo nero su bianco da tutti i magistrati che hanno giudicato Stasi. Oltretutto, manca un movente, l’arma del delitto non è mai stata rinvenuta e non c’è alcun testimone in grado di collocare Alberto sulla scena del delitto. Qualcuno ha riferito della presenza di una bicicletta nera da donna avvistata fuori dall’abitazione dei Poggi e la famiglia Stasi ne possedeva una, come chissà quante altre a Garlasco.
È normale che Stasi sia stato condannato “oltre ogni ragionevole dubbio”, come prevede la legge, alla luce di un quadro dal quale non è emerso alcun inequivocabile elemento di colpevolezza? O sulla scorta dello strampalato ‘teorema Davigo’ per il quale “non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti” si è voluto restituire all’opinione pubblica un omicida a tutti i costi? La riapertura del caso con un nuovo indagato a 18 anni dall’assassinio fa temere un errore clamoroso in barba a ogni principio di giustizia e di civiltà giuridica per la quale sarebbe preferibile un colpevole a piede libero che un innocente in prigione. E il fatto che non sia così potrà suonare come indifferente a quelle toghe che relegano le ingiuste detenzioni agli errori statistici, ma non ai cittadini che davanti a simili casi non possono che perdere ancora di più la fiducia, già bassa, nella magistratura.


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